“Cari professori, siete la categoria che più mi irrita.”

Cari professori, siete la categoria che più mi irrita.

alessandro d'avenia

“Cari professori, siete la categoria che più mi irrita.” è l’incipit di una lettera inviata da un ragazzo ad Alessandro D’Avenia, scrittore e insegnante. Le parole “al netto dei toni dettati dall’intransigenza adolescenziale” diventano un momento di riflessione sull’unicità delle persone e quindi sull’unicità di ciascuno studente, ma anche sulla difficile condizione nella quale spesso i docenti sono chiamati a svolgere il proprio lavoro.

Scrive D’Avenia: ” Noi insegnanti siamo direttori d’orchestra o allenatori, abbiamo a che fare con vite irripetibili a cui affidare la sinfonia o la partita. Eppure nei nostri registri mancano spazi per descrivere i talenti di un ragazzo. I consigli di classe si riducono alla condivisione di voti e fatti spiacevoli di condotta. Se un ragazzo assistesse al momento in cui parliamo di lui durante un consiglio, che cosa scoprirebbe di sé? Si sentirebbe riconosciuto, tra punti forti e deboli, come portatore unico di qualcosa di nuovo? I collegi docenti diventano spesso dibattiti burocratici più che educativi. Negli scorsi anni abbiamo dovuto seguire corsi sulla sicurezza, e mi sembra opportuno, ma io vorrei essere obbligato anche a formarmi su come si scoprono i talenti dei ragazzi, sul mondo del lavoro di oggi e di domani, per orientarli in un presente che sta subendo una trasformazione senza precedenti. Quando sento dire, da chi in classe non entra, che l’uso del cellulare in aula è un toccasana per l’apprendimento ho la conferma dell’assenza di un progetto adeguato alle esigenze reali degli studenti, a cui invece servirebbe imparare come funzionano i linguaggi di programmazione che permettono alle app di funzionare, agli algoritmi di profilarci, proprio grazie a quel cellulare. Un sistema che non valorizza i docenti si merita una scuola che spegne la vita e che, invece di affrontare il mondo, lo ignora o vi si adegua.”

Leggi l’articolo integrale sul Corriere della Sera: Non farò mai l’insegnante

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