Storie e racconti di Primavera

Storie e racconti di Primavera

 

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Una raccolta di storie, racconti e leggende di Primavera per bambini.

La prima primula
Quell’anno la Primavera sembrava non dover più arrivare; gli animali del bosco la attendevano con impazienza; l’Inverno era stato molto freddo e tutti, dalla lepre, allo scoiattolo, agli uccelli non vedevano l’ora che se ne andasse, lasciando il posto al primo tiepido sole che potesse scaldar loro le pellicce e le piume. Ma l’Inverno, ormai vecchio e un po’ sordo, non voleva proprio levare il disturbo, tanto che tutti gli animali iniziarono a dirgli: “Insomma, vuoi andartene si o no ?” “Non è ora che lasci arrivare la Primavera?”. Insomma, tanto fecero e tanto dissero che l’Inverno si arrabbiò davvero e disse tra sé e sé : “Ah si eh? Volete mandarmi via… ma io ve la farò pagare!” Chiamò i suoi due fidi alleati, il Gelo e la Tempesta e disse loro: “Nascondetevi dietro quel cespuglio e quando vedrete arrivare la Primavera spingetela in quella grotta; io penserò al resto”. Quando la Primavera, puntuale come ogni anno, fece capolino al limitare del bosco, la Tempesta saltò fuori dal cespuglio dietro il quale era nascosta e soffiando un vento gelido la spinse fin verso la grotta dove il Gelo costruì una barriera di ghiaccio per non lasciarla uscire. La lepre aveva assistito a tutta la scena e corse subito dagli altri animali del bosco per chiedere che cosa fare; ma nessuno sapeva come liberare la Primavera rinchiusa nella grotta. “Andiamo a chiedere consiglio al Sole ” disse il pettirosso, che sapeva che il Sole era amico della Primavera. “E’ una brutta situazione ” – disse il Sole – “ma io so come aiutarvi”; accompagnato da un corteo di candide nuvolette si avvicinò ad un ruscello vicino alla grotta e, al suo passaggio, spuntarono dei piccoli fiori, le primule. “Prendete una di queste primule” – disse il Sole – “e andate subito alla grotta; sono fiori magici, e il ghiaccio si scioglierà”. La lepre, senza farselo dire due volte, strappò una primula con i suoi denti aguzzi e corse alla grotta, dove i tre compari si erano addormentati dopo aver festeggiato la cattura della Primavera, e, come aveva detto il Sole, il ghiaccio si sciolse, lasciandola finalmente uscire. L’Inverno si svegliò al rumore della gran festa che stavano facendo gli animali del bosco e, accompagnato dalle risate e dagli scherzi, dovette scappare con il Gelo e la Tempesta, su al Polo Nord. E da quell’anno, il 21 di marzo, la comparsa della prima primula apre la porta alla Primavera!

Il sole, le nuvole, le stelle
di Caroline Sedgwick
C’era una volta, in una terra molto, molto lontana, un paese dove pioveva sempre, pioveva e pioveva; con piogge torrenziali tutto il giorno, tutti i giorni, per anni ed anni. E proprio lì viveva un bambino piccino, in una casetta di montagna, con il suo papà ed il suo cagnolino. Aveva nove anni e tutti i giorni della sua vita aveva piovuto e piovuto, per tutto il giorno e per tutta la notte. Ti potresti immaginare di veder continuamente piovere e di essere sempre bagnato? La gente gli diceva sempre che, prima che lui nascesse, c’era stata una cosa strana chiamata Sole. Il sole era una cosa grande, rotonda e gialla, che dava calore e luce a tutto e a tutti. Ed aveva sempre un sorriso sul suo grande volto, rotondo e giallo. E, vedendo il sorriso del sole, la gente lo guardava e gli restituiva il sorriso. Il bambino piccino non poteva neanche immaginarsi l’idea di una cosa grande, rotonda, gialla e sorridente. E non poteva credere che la gente potesse guardarlo e sorridere, perché nel suo paesino nessuno sorrideva, sembravano tutti così tristi. Un giorno, la gente incominciò a dire che il cielo sembrava un po’ più chiaro. Stava ancora piovendo e le nuvole nere erano ancora appese al cielo, pero sembrava davvero più chiaro. Il giorno dopo, la gente incominciò a mormorare di più, dicendo che quel giorno stava piovendo di meno. Il giorno dopo, piovve solo la metà. Quello dopo ancora, piovigginò un po’ e le finestre gocciolavano di tanto in tanto. E quello dopo, smise di piovere; il giorno dopo ancora tutte le nuvole erano bianche. Ancora un giorno e apparsero macchie di cielo azzurro. All’improvviso non c’era neanche una nuvola e una cosa grande, rotonda e gialla aleggiava in cielo, regalando calore e luce a tutti. E la gente guardava in alto e sorrideva al vederlo, perché aveva un sorriso enorme e raggiante. E il bambino piccino si sedette sul suo letto e vide, attraverso la finestra, una cosa della quale aveva solo sentito parlare, nelle storie che potevano essere fiabe: una cosa grande, rotonda e gialla in cielo con un gran sorriso sul volto. Dev’essere il sole! Disse il bambino, restituendo il sorriso. Corse in strada e vide che tutti stavano sorridendo. E adesso… A nanna!

L’inverno e la Primavera
di Esopo

Un giorno il signor Inverno si trovò faccia a faccia con la giovane signorina Primavera. L’anziana stagione, con quella sua aria sapiente prese a dire: “Mia cara amica, tu non sai essere decisa e determinata. Quando giunge il tuo periodo annuale, le persone e gli animali ne approfittano per precipitarsi fuori dalle loro case o dalle loro tane e si riversano in quei prati che tu, con tanta premura, hai provveduto a far fiorire. Essi strappano i giovani arbusti, calpestano senza pietà l’erba e assorbono ogni sorso di quel sole splendente che, col tuo arrivo diventa più caldo. I tuoi frutti vengono ignobilmente raccolti e divorati e infine, con il baccano e la cagnara che tutti fanno, non ti permettono neppure di riposare in pace. Invece io incuto timore e rispetto con le mie nebbie, il freddo e il gelo. La gente si rintana in casa e non esce quasi mai per paura del brutto tempo e così mi lascia riposare tranquillo”. La bella e dolce Primavera, colpita da quelle parole, rispose: “Il mio arrivo è desiderato da tutti e le persone mi amano. Tu non puoi nemmeno immaginare cosa significhi essere tanto apprezzati. E’ una sensazione bellissima che non potrai mai provare perché con il freddo che porti al tuo arrivo anche i cuori più caldi si raggelano”. L’inverno non disse più niente e si fermò a riflettere. Forse, essere ammirati ed amati dagli altri, poteva anche essere una bella sensazione.

Aprile
di U.Petrini
Nel palazzo di re Anno c’era grande agitazione… Si annunciava l’arrivo della Primavera, una signora un po’ pazzerella: un momento gaia come un raggio di sole, un momento arcigna come una nuvola grigia. Tutti volevano far bella figura e i dodici figli dell’anno si davano un gran da fare per offrirle un dono degno della sua importanza. Il primogenito preparava un diadema con ghiaccioli purissimi: stelle di neve e aghetti di brina; il sesto figlio fondeva nel crogiuolo l’oro delle spighe per preparare una collana di rubini papaveri e ametiste di fiordalisi. Del quarto mese non si sapeva nulla, girellava in giardino con aria misteriosa e nessuno riusciva a cavargli una parola di bocca. E venne il giorno tanto atteso: la bella signora scese dalla carrozza e mosse i primi passi nel parco della reggia. Allora nelle aiuole, sulle siepi, nei prati come ad un tocco di bacchetta magica sbocciarono l’una dopo l’altra a migliaia le corolle variopinte di tutti i fiori. La Primavera non finiva di incantarsi e di lodare. Il quarto mese inchinato dinnanzi a lei offriva il suo dono di colori e di profumi. La Primavera lo volle al suo fianco: Tu sarai mio paggio – gli disse – e ti chiamerai Aprile, colui che apre i boccioli e le gemme al mio passaggio. Aprile rideva di gioia e aveva negli occhi i lucciconi della commozione.

Il bruco e la lumaca

Vivevano nello stesso giardino un bruco e una lumaca. I due animaletti avevano stretto grande amicizia tra di loro. Insieme strisciavano a passeggio, rosicchiavano le foglie tenere e dolci e avevano dolci colloqui. Insomma, stavano sempre insieme e nei momenti difficili si aiutavano e s’incoraggiavano a vicenda. Un bel giorno il bruco si fece lento, perse i bei colori, si irrigidì e stette immobile. La fedele amica gli si avvicinò, gli parlò e, non capendo quel che stava succedendo al suo amico, si disperò e lo vegliò a lungo. Dopo qualche giorno, dalla spoglia del bruco uscì una variopinta e brillante farfalla che, aperte le ali, cominciò a volare tra i fiori e le erbe. La lumaca, che aveva assistito al prodigioso cambiamento, si avvicinò e cominciò a parlarle con dolcezza. “Come ti sei fatta bella! Sono proprio contenta di avere un’amica carina e bella come te. Se tu sapessi come mi sono spaventata quando ti ho visto paralizzata, prima della tua trasformazione!”. “Chi sei tu?”, la interruppe la farfalla. “Quando mai ci siamo conosciute! Io ho delle ali delicate e meravigliose, vivo nell’aria tra i fiori colorati e profumati; tu, invece, strisci e sbavi nel fango tra i vermi. Ah, se il giardiniere liberasse il mio giardino da certe sudice bestie”. La lumaca ci rimase male e disse con umiltà: “Va bene, va bene, non ci siamo mai viste. Però ricordati che io ti ho conosciuta quand’eri bruco e strisciavi come me”.

La viola e il suo profumo

Fata primavera aveva portato con sé una scatola piena di profumo delicato. “Regalerò questo profumo al fiore più gentile” disse. I fiori di primavera si presentarono uno a uno. Prima di tutti la primula: “Io sono bella, i miei petali sembrano di seta. A me potresti regalare il tuo profumo…” Fata primavera la rimandò ai piedi dell’albero: “No, tu non hai bisogno del mio profumo”. Si presentò la pratolina: “Ed io, che sono la regina del prato, non potrei avere il tuo profumo? Guarda i miei petali, guarda il mio cuore d’oro! Sembra una piccola stella…” “Anche tu, pratolina, non puoi avere il mio profumo…” La viola se ne rimase silenziosa e nascosta. La Primavera si avvicinò e le disse: “E tu viola, non mi dici niente?”. “ Sono contenta di quello che mi è stato donato e non chiedo di più” rispose il piccolo fiore. “Tu viola, sei davvero buona e gentile. A te regalerò il mio profumo” esclamò la Primavera e aprì la scatola. E da quel giorno la viola ebbe in dono il delicato profumo.

Un nido per due rondinelle
Fiaba di: Gwen
Le rondini erano ritornate al tetto. Ma che rovina! Alcuni nidi erano crollati, altri avevano bisogno di riparazioni. Bisognava mettersi al lavoro, ed ogni rondine lo fece con gioia. Anche due giovani rondinelle che non avevano il nido s’erano messe d’impegno per costruirselo. Andavano e venivano continuamente, portando qualche cosa nel becco: ora pagliuzze, ora fuscelletti ed ora piume. Dopo due settimane di faticoso lavoro, tutte e due poterono riposare nella loro casetta. Anche altre rondini avevano finito il loro lavoro. Si parlavano da un nido all’altro come fanno le donne sulle porte delle case. Era un piccolo paese di rondini. Ma il nido delle due rondinelle era debole ed un giorno cadde sulla strada. Quanti gridi si levarono da tutte le parti! Le due rondinelle volarono disperate dal tetto alla strada, dalla strada al tetto. Tutte le altre rondini si riunirono sulla gronda del tetto; pareva che dicessero: “Poverine! Quelle due rondinelle hanno fatto il nido troppo in fretta ed esso non ha resistito. Sono tanto giovani ed inesperte! Vogliamo aiutarle?” Tutte, come ad uno stesso comando, partirono in ogni direzione; poco dopo ritornarono con la mota e le pagliuzze e iniziarono la costruzione di un nuovo nido. Era un andare e tornare accompagnato da un garrire allegro. In due giorni il lavoro fu terminato e le due rondinelle poterono entrare nella loro casa. Tutte le altre sporgevano la testa dal nido per vedere le loro vicine contente, che riposavano una accanto all’altra nel nido costruito dall’amore.

Il Fiore

di Mimì Menicucci
C’era un bocciolo che faticava ad aprirsi. Era duro, piccolo, verde e pareva che non dovesse sbocciare mai. Allora disse alla pianta: «Succhia forte il buon nutrimento dalla terra, cosi io potrò diventare più grosso».
La pianta succhiò con tutte le sue radici e il bocciolo ingrossò, ma rimaneva verde e duro. Allora disse alle nuvole: «Mandate giù una pioggerella, ma non tanto forte. altrimenti mi sciupate». E le nuvole mandarono giù una spruzzatina sulla terra, ma con molta educazione.
Poi il bocciolo disse al sole: «Per piacere, riscaldami con i tuoi raggi, ma non mi bruciare, sarebbe un peccato.. E il sole lo accarezzò col suo tepore. Finalmente in una bella mattina di primavera, il bocciolo si aprì e ne venne fuori un magnifico fiore rosso che pareva di seta.
Una farfalla disse: «Che bellezza! Un fiore cosi bello non si è mai visto in questo giardino!». E vi si posò sopra con delicatezza. La terra, le nuvole, il sole ne furono molto orgogliosi. Le campanelle bianche, screziate di rosa, si misero a suonare a festa.
Verso sera arrivò un bambino. Vide il bellissimo fiore rosso e lo colse. Poi lo strappò. Le campanelle smisero di dondolarsi e chinarono le corolle con molta malinconia. Il giardino pianse tutta la notte.

La rosa orgogliosa
Non so capire perché io, che sono la regina dei fiori, devo avere dei vicini tanto miseri – disse con aria superba una rosa rivolgendosi ad una farfalla che si dondolava su uno stelo lì presso. I «miseri» vicini fecero finta di non aver inteso quelle superbe parole. Erano dei graziosi, se pur modesti, fiori di fagiuolo e non osarono replicare.
La farfalla, a cui i fiorellini somigliavano, ribatté:
È vero che tu sei la regina dei fiori, e sei infatti bellissima con i tuoi petali morbidi come la seta e la corolla profumata; però quando sarai appassita, che cosa resterà di te?
Resterà il ricordo della mia bellezza e del mio profumo. – ribatté l’orgogliosa – E non vorrai dirmi che di quei fiori li resterà qualcosa di meglio…
Ma certo! – intervenne un grosso calabrone -Di quei fiori resteranno i frutti.
Intanto i fiori del fagiuolo, che avevano ascoltato il colloquio, ripresero animo, e uno di essi disse, rivolgendosi alla rosa:
Forse tu parli in tal modo perché non sai quale misterioso lavoro si svolge dentro il terreno per darci la vita.
Pensa che il seme, messo nella terra, nutre la nuova piantina fino a darle tutto sé stesso: man mano che questa cresce, succhiandogli la vita, esso avvizzisce e, infine, muore. Poi la piantina fiorirà e nasceranno i frutti che contengono altri semi, e cosi via via, in un giro eterno e benefico.
Quante storie… borbottò la rosa, ma si capiva che non sapeva che cosa ribattere a quel giudizioso discorso.
In ogni, modo – disse di nuovo il calabrone che le faceva un po’ la corte – a te la tua bellezza, a quei fiorellini la loro modestia e la loro utilità. Tutti abbiamo una nostra parte nella vita… -.E con queste sagge parole si lanciò a capofitto nel cuore del fiore.

Il pesco e i bambini

di Eugenia Graziani Camilucci 
Un pesco era tutto in fiore. Vennero bambini e bambine, lo circondarono e cominciarono a dire:
Che bei fiori! Che fiori gentili!
Bambine, bambini, – pregò il pesco – non sciupate la mia fioritura!
Ma quelli non capirono la preghiera del pesco come l’avevano invece capita il vento, la pioggia, gli uccelletti, e si dettero a stroncare i rami.
Oh! – disse il pesco piangendo. – Come mai i bambini sono più crudeli del vento, della pioggia, degli uccelletti?
I bambini sono spesso piccoli ignoranti.
Le cose della natura obbediscono alle leggi del buon Dio e si aiutano fra loro; i fanciulli seguono il loro capriccio e non sanno che tutto ciò che è creatura del Signore deve essere rispettato.

Ci ho rimesso la coda

di V. Vincenzi
Un sole tiepido di primavera batte sul muro del giardino.
Da una crepa fa capolino una lucertola. Si guarda attorno, esce e se ne rimane ferma lì, a godersi il sole.
Buon giorno! Finalmente ti sei svegliata!
Ah, sei tu, signora tartaruga? Quasi mi hai fatto paura.
Come sei paurosa!
Non lo sai che i bambini mi danno la caccia?
Eppure non fai del male a nessuno.
Non faccio male a nessuno, ma quante mie compagne sono rimaste uccise  sotto i sassi dei monelli!
Beata te che nessuno ti dà fastidio.
E vero! Il mio padrone mi vuoi proprio bene. Tutto l’inverno mi ha tenuta in casa.
Ora che non fa più freddo mi ha messa qui nel giardino perché io mangio gli insetti che fanno male alle piante.
Anch’io mangio gli insetti dannosi, ma i bambini non mi vogliono bene. Vedi che non ho più la coda?
E vero! Come è stato?
Ieri sono uscita per la prima volta. Sai che io dormo sotto terra tutto l’Inverno. Sono uscita, ti dicevo, e un bricconcello mi ha preso per la coda e me l’ha staccata.
E così sei rimasta senza coda?
Sì, ma sono viva, e lo coda crescerà ancora.

Racconto Primavera
di E. Graziani Camillucci

Che chiasso fate, uccelletti, intorno ai vostri nidi! C’è qualche novità?
Sicuro! Dobbiamo rimetterli in ordine, perchè sta per arrivare la stagione nuova, e le mamme devono covare gli ovetti, dai quali nasceranno i piccolini. Il nido deve essere morbido. Per questo siamo in cerca di piume, di bioccoli di lana e di cotone, di pagliuzze…
Intanto si è svegliato l’alberello di ciliegio che pareva secco. Prima si sono aperte le piccole gemme; ora da ogni gemma è sbocciato un fiorellino bianco. Sono graziosi quei piccoli fiori che ornano i rami nudi!
E intorno all’alberello sono spuntate anche erbe fresche e fra le erbe sorridono le pratoline.
Ricomincia la vita. Le api ronzano intorno all’alveare. Come vi affaccendate api! Ma che cosa c’è di nuovo?
.La regina ha deposto le uova. Sono molte:una per ogni celletta. Adesso noi, api operaie, dobbiamo fare molto miele per nutrire le larve che nasceranno fra poco.
Il prato è smaltato di fiori nuovi. Il giardino, le siepi, gli alberi da frutto ci offrono il nettare; non dobbiamo perdere tempo. E le api vanno e vengono dall’alveare. Dappertutto la vita rinasce.

Sole di Marzo

di Eugenia Camillucci

L’albero, che ha perduto nell’inverno tutte le sue foglie, sente la carezza del primo sole di marzo.
Svegliati, dunque! – gli dice il sole – e mettiti al lavoro.
Che cosa aspetti ancora? La buona terra è pronta a darti i suoi ricchi umori. lo ho tiepidi raggi.
L’aria ti sussurra intorno una dolce canzone…
L’albero ode le care voci e chiama dal suo cuore i teneri germogli.
Ecco, ecco: si gonfiano le gemme, spuntano ai rami; stanno già per aprirsi le tenere foglie…
Piano! – mormora l’albero alle sue creaturine delicate non abbiate fretta.
Ma con questo sole… dicono le gemme.
Non bisogna fidarsi. Tenete le vostre foglioline nella fascia grossa e gommosa  che lo avvolge. È ancora presto per sbocciare.
Fremono, le foglioline, al richiamo del sole.
Ma intanto il cielo si vela di nebbia.
E l’aria subito ridiventa fresca. Nella notte la brina si posa sui germogli delicati.
Aveva ragione la brava pianta previdente. La nebbia uccide le tenere foglioline.
Restano vive e robuste le gemme che hanno obbedito, che hanno avuto pazienza e hanno tenuto le fogliette al riparo della fascia gommosa.
C’è ancora qualcun altro che vorrebbe fidarsi troppo del primo raggio di sole di marzo!
Oh mamma, questo cappottino pesa! Lo lascio a casa, si cammina meglio, senza!
Metti il cappottino, bambino mio.
Oh mamma, questa maglietta mi fa tanto caldo!
Sopporta il caldo, bambino mio.
Oggi mi tolgo le calze, mamma. Si sta bene con le gambe nude.
Tieni le calze, bimba  È presto: è troppo presto per scoprirsi.
Marzo è capriccioso e noi dobbiamo aver giudizio. Meglio sopportare un po’ di caldo che buscarsi un malanno.
I bambini impazienti non danno retta.
E poi: ecc!! ecc!! ecc!!

Primavera nel paese degli orsi

di Walt Disney

Poi la primavera giunse davvero. La neve scomparve e il ghiaccio si sciolse. Gli animali erano tornati tutti molto vivaci con un mucchio di cose da fare. La luce e il calore del sole li rendeva allegri. Gli scoiattoli saltellavano di qua e di là: che bello poter far di nuovo un po’ di ginnastica! Gli orsi si erano già svegliati. Il grande maschio nero era uscito dal suo rifugio molto presto. Aveva cominciato a camminare con un certo impaccio, si sentiva ancora tutto irrigidito dopo il lungo sonno invernale e ad ogni passo gli scricchiolavano le giunture. Le sue nuove “suole” erano sottili, morbide e così sensibili che l’ orso si accorgeva di ogni fuscello o sassolino sul quale posava il piede. Ma queste erano piccole noie senza importanza: ora ci sarebbero stati lunghi mesi di sole, cibo più che sufficiente e, forse, anche qualche battaglia contro gli intrusi. Camminava a muso basso, ciondolando la testa di qua e di là. Annusava avidamente I’odore della terra bagnata, nella quale si sentiva davvero il profumo della vita vegetale che rifioriva. Mangiava tutto quello che di verde fresco e tenero gli capitava a tiro. Ottima cosa un po’ di verdura per il suo stomaco vuoto. Per il momento non sentiva bisogno di mangiar carne. Di tanto in tanto si fermava e alzava il muso: fiutava l’aria. Sapeva di essere ancora nei limiti del suo dominio, cioè in terreno ben noto, ma durante I’inverno potevano essere accadute tante cose. Meglio essere prudenti. A volte, per veder meglio più lontano, si alzava sulle zampe posteriori: ma poi tornava a mettersi giù perché dopo tutto lui si fidava più dell’olfatto e dell’udito che della vista.

Quel giorno che la Primavera arrivò in anticipo

La terra era ancora dura di gelo e immobile nel freddo invernale. Nascosti nelle tane gli animaletti dormivano profondamente. Il lievissimo respiro regolare segnava, come lo scandire dei secondi di una sveglia, il passare del tempo. Sotto terra i piccoli semi intirizziti in paziente attesa della prima uscita primaverile, sapevano di dover attendere ancora qualche tempo.

Un giorno mentre tutto ancora dormiva arrivò nel bosco una signorina alta ed elegante. Con passo danzante e leggero si faceva largo gettando a casaccio piccoli boccioli nei prati e sugli alberi. Tra i  suoi capelli del verde brillante dell’erba la camomilla faceva capolino allegramente. Aveva fra le mani tulipani, viole e mimose; il suo abito di fiori di pesco e di ciliegio spandeva intorno un irresistibile profumo che si insinuava in ogni angolo remoto.
Era febbraio, il signor Inverno non ci mise molto ad accorgersi che qualcosa succedeva a sua insaputa nel bosco di cui era custode fino al venti del mese di marzo. Uscì immediatamente e una ventata di freddo vento raggelò i piccoli fiori che la Primavera in anticipo aveva incautamente fatto uscire. Nuvoloni scuri si addensarono improvvisamente all’orizzonte e in un lampo consegnarono il loro carico, poco dopo la terra tornò  a essere un manto bianco uniforme. I fiori si ritirarono in un angolo, cercando di proteggersi dalla furia invernale, mentre una voce risuonò alta “Senti Primavera non fare la svampita, tornatene a casa che il mio contratto scade tra un mese!”
La Primavera raccolse come poté i suoi fiori e ritornò sui suoi passi dicendo: “Ma come sei suscettibile e precisino Signor Inverno, potresti anche concedermi qualche giorno dei tuoi.” Ancora la voce dell’Inverno tuonò imperiosa: “Sparisci!”

Nel bosco tornò la calma invernale, gli uccellini affacciatisi a sentire il battibecco tornarono al riparo mentre gli animali in letargo non si accorsero di nulla, ci voleva ben altro che una litigata tra le stagioni per svegliarli.

Il lamento del grano

di Renzo Pezzani

La primavera era passata sulla terra…
Le siepi di rovi si coprivano di foglie novelle e sui cigli delle strade gli umili fiori di prato si nascondevano nei ciuffi d’erba. Anche sui rami brulli dei peschi, dei mandorli e dei ciliegi erano sbocciati i fiori. Erano fiorellini bianchi e rosati dai petali delicati come seta, che vola vano via leggeri ad ogni soffio di vento. La natura era tutta vestita a festa. I prati, le colline, gli orti e i giardini brillavano di colori. E nel cielo il sole scherzava con le nuvole di primavera.Solo il grano era triste. Guardava i fiori del prato che si cullavano felici sugli steli guardando il sole.
Perchè Dio non mi ha dato dei bei fiorellini azzurri e rosa?
Perchè non ha ornato la mia piantina con le corolle bianche delle margherite o con i lucidi petali dei ranuncoli?
E sospirava, mentre il vento leggero cullava i suoi gambi. Una sera passò di lì lieve lieve un Angelo, sentì il sospiro del grano: si fermò…
Non lamentarti – disse l’Angelo – tutte le piante fiorite sembrano più belle di te.
Ma tu hai un cuore che vale un tesoro.
È un cuore piccino piccino che crescerà, si gonfierà e diventerà la vita di tante creature.
Il grano chinò con gioia l’umile gambo e ringraziò Dio.

Marzo e il pastore (perché marzo ha 31 giorni)

Una mattina, sul cominciare della primavera, un pastore uscì con le pecore e incontrò Marzo per la via. Disse Marzo: “Buongiorno, pastore, dove le porti oggi le pecore?”
“Eh, Marzo, oggi vado al monte!”
“Bravo pastore, fai bene, buon viaggio!” E fra sé disse “Lascia fare a me; oggi li innaffio io per bene!”
Il pastore, però, che l’aveva squadrato ben bene in viso, aveva fatto tutto il contrario. La sera, nel tornare a casa, incontrò di nuovo Marzo.
“Ehi, pastore, com’è andata oggi?”
“È andata benone. Sono stato al piano: una bellissima giornata, un sole che scottava.”,
“Ah, sì? Ci ho gusto!” (e intanto si morse un labbro) “E domani dove andrai?”
“Domani tornerò al piano. Con questo bel tempo…”
“Bravo, addio!”
E partirono. Ma il pastore, il giorno dopo, invece di andare al piano, andò al monte; e Marzo giù acqua e vento e grandine al piano. La sera trovò il pastore.
“Oh pastore, buonasera! E oggi com’è andata?”
“Benone! Sai, sono andato al monte. È stata una giornata d’incanto. Che cielo! Che sole!”
“Bravo pastore… e domani dove andrai?”
“Eh, domani andrò al piano!”
Insomma, per farla corta, il pastore gli disse sempre il contrario, e Marzo non ce lo poté mai beccare. Si arrivò così alla fine del mese.
L’ultimo giorno Marzo disse al pastore: “Eh beh pastore, come va?”
“Va bene, ormai è finito Marzo e sono a cavallo. Non c’è più paura e posso star tranquillo…”
“Dici bene, e domani dove andrai?”
“Domani vado al piano, faccio più presto”
“Bravo, addio!”
Allora Marzo in fretta e furia andò da Aprile, gli raccontò la cosa e, infine, gli disse: “Ora avrei bisogno che tu mi prestassi un giorno”.
Aprile, senza farsi pregare, gli prestò un giorno.
La mattina dopo, il pastore fece uscire le pecore e andò al piano come aveva detto.
Ma, quando fu una certa ora e il gregge era sparso per i prati, cominciò una ventipiova da fare spavento; acqua a ciel rotto, vento e neve e grandine. Il pastore ebbe da fare e da dire a riportare le pecore all’ovile.
La sera Marzo andò a trovare il pastore, che era là nel canto del fuoco, senza parole, tutto malconcio, e gli chiese ironico: “Oh pastore, buona serata! Oggi com’è andata?”.
“Ah, Marzo mio, sta’ zitto, sta’ zitto, per carità! Oggi è stata proprio nera. Peggio di così neanche a mezzo gennaio; si sono scatenati per aria tutti i diavoli dell’inferno”.
E’ per questo che marzo ha trentun giorni; perché ne ha preso in prestito uno da aprile.

Il pettirosso di mamma orso

Else Holmelund Binarik

Un giorno di primavera, quando mamma Orsa era piccola, trovò un piccolo pettirosso in giardino, troppo piccolo per volare.

“Oh, come sei carino” disse, “Da dove vieni?”
“Dal mio nido” rispose il pettirosso.
“E dov’è il tuo nido, piccolo pettirosso?”, domandò mamma Orsa.
“Credo che sia lassù” rispose il pettirosso.
“No, quello era il nido del passerotto”
“Forse è più in là” disse il pettirosso.
“No, quello era il nido del merlo”.
Mamma Orsa guardò da tutte le parti, ma non riuscì a trovare il nido del pettirosso.
“Puoi vivere con me” disse, “sarai il mio pettirosso”.
Portò il pettirosso a casa e gli preparò un nido.
“Mettimi vicino alla finestra, per favore” disse il pettirosso. “Mi piace guardar fuori e vedere gli alberi e il cielo”
Mamma Orsa lo mise vicino alla finestra.
“Oh” disse il pettirosso “dev’essere divertente volare lì fuori”
“Sarà divertente anche volare qui dentro” rispose mamma Orsa.
Il pettirosso mangiava, cresceva, cantava. Presto imparò a volare. Volava in giro per la casa e si divertiva, proprio come mamma Orsa aveva detto.
Ma un giorno che era triste, mamma Orsa gli domandò: “Perchè sei triste, piccolo pettirosso?”
“Non lo so” rispose il pettirosso, “il mio cuore è triste”.
“Prova a cantare una canzone” disse mamma Orsa.
“Non posso” rispose il pettirosso.
Gli occhi di mamma Orsa si riempirono di lacrime. Portò il pettirosso in giardino.
“Ti voglio bene, piccolo pettirosso” disse “e voglio che tu sia felice. Vola via, se vuoi. Sei libero”.
Il pettirosso si alzò alto in volo nel cielo azzurro. Cantò una canzone dolce e acuta. Poi tornò giù, dritto verso mamma Orsa.
“Non essere triste” disse il pettirosso, “anch’io ti voglio bene. Devo volare per il mondo, ma ritornerò. Ogni anno, ritornerò”.
Allora mamma Orsa gli dette un bacio, e il pettirosso volò via.

La leggenda della primavera

Era una mattina soleggiata. La foresta riprendeva vita. Il sole sorgeva imponente su tutto, la neve dello scorso inverno stava scomparendo grazie ai deboli ma tenaci raggi di sole.

Gli animali si svegliavano dal loro letargo. I prati verdi cominciavano a muoversi grazie alla fresche brezza mattutina. Improvvisamente tutti gli animali scattarono a quel suono: lei si era svegliata.

Tutti si diressero al centro della foresta verde, dove si trovava una caverna. Da lì proveniva un dolce profumo di fiori appena sbocciati e una melodia allegra aleggiava nell’aria. Poco dopo presero a crescere fiori di ogni genere e colore. Era davvero bellissimo.

Poi da quel buco nella pietra s’intravide una luce, riscaldava l’animo dei nostri giovani amici, i quali si sentivano di nuovo pieni di energie. Infine si fece vedere. Aveva un vestito lungo e azzurro fino ai piedi, i capelli lunghi e biondi intrecciati con una corona fatta di fiori, le orecchie a punta s’intravedevano appena tra quei fili d’oro, gli occhi verdi ed un bellissimo sorriso. Intorno a lei volteggiavano milioni di farfalle dai variopinti colori, e graziosissime api e coccinelle. Mentre usciva da quella caverna, rimasta a riposo, troppo a lungo, danzava. Perché lei era cosi, un animo puro che ballava felice. Rabbrividì leggermente al contatto dei suoi piedi con l’umido terreno della foresta.

Gli animali la guardavano tranquilli. Sapevano perfettamente che quella melodia era prodotta dal suo cuore di fata. Loro non la temevano. La fatina era la vita, il risveglio dopo il lungo ed interminabile sonno della natura. Colei che faceva sbocciare i fiori, risvegliare dal letargo gli animali, lo scorrere di tutto viene ripreso non appena il suo cuore di fata riprende a battere. Dopo un po’, si gira verso l’orizzonte e guarda oltre la foresta, lontano da quel luogo, finché lo si sente arrivare: al galoppo, più veloce della luce, allora il sorriso della nostra Fata si allarga sempre più.

Un unicorno bianco, dagli occhi blu ed il corno argentato fa la sua comparsa proprio davanti a lei. La fanciulla si avvicina cauta, quella creatura è ancora più fragile di lei. Apre la mano e da lì appare magicamente un semino che ben presto diventa un pomo d’argento.

La fata s’inchina con eleganza degna di una vera principessa, davanti all’unicorno con il pomo d’argento rivolto verso il muso del cavallo. Lui dapprima lo annusa con sospetto, poi lentamente lo mangia. A quel punto la ragazza si alza velocemente e lo accarezza con dolcezza, baciandolo sul muso. Poi si alza in volo leggiadra come una piuma ed atterra sul cavallo, ad amazzone. L’animale non sembra a disagio. Poi con un piccolo colpetto all’unicorno da parte della fanciulla, lui si volta e parte al galoppo, da dove era arrivato.

Mentre sfrecciava via, la melodia della giovane scompariva pian piano, lasciando al suo posto un dolce aroma. E com’era apparsa, si era volatilizzata. Gli animali che erano rimasti ad osservare la scena sapevano cosa sarebbe successo da li a poco. La fata, avrebbe passato a cavallo svariati territori, risvegliando la natura con il dolce profumo della vita. Perché lei, è la Primavera.

Perché il mese di marzo ha 31 giorni

di Alessandra Cancarè

Si racconta che il mese di marzo una volta era composto da 28 giorni e aprile da 33 giorni. Finito febbraio iniziò marzo con il suo tempo sempre incerto, un giorno pioveva e faceva freddo, il giorno successivo c’era sole e caldo… Quando marzo arrivò vide una vecchietta e s’innamorò di lei. Le chiese di sposarla ma la vecchina rispose di no perché “marzu ha statu sempri tintu”, cioè marzo è stato sempre cattivo. Ci volevano pochi giorni per poter completare il mese e marzo non era ancora riuscito a convincere la vecchietta la quale lo rifiutava in continuazione sempre con la stessa motivazione. Marzo, parlò con suo fratello Aprile chiedendogli di prestargli tre giorni per fare morire la vecchietta che tanto lo disprezzava. Il fratello gli prestò i giorni e furono talmente tanto freddi che la vecchia morì rimanendo “‘mpassuluta” (come l’uva passa, stecchita, secca).

La leggenda del Pesce d’Aprile

La leggenda narra che il 1° aprile, Dio terminò la creazione del mondo. Finita la sua opera lasciò la terra per tornarsene in cielo, lasciando gli uomini da soli. I primi uomini, comprensibilmente disorientati, non sapevano cosa fare. Alcuni di loro, quelli più furbi e intelligenti, cominciarono a vagare in cerca di cibo e di un riparo per la notte, ostacolati, però, dai più sciocchi del gruppo.

Gli sciocchi dicevano “Questa pianta è troppo brutta! Non può essere buona da mangiare!”, togliendo dalle mani degli uomini intelligenti una bella carota.

“Questo posto è troppo buio!”, dicevano i paurosi, impedendo agli uomini intelligenti di entrare in una grotta calda e ospitale.

A quel punto, secondo la leggenda, i più scaltri e intelligenti, stufi di perdere tanto tempo inutilmente e per poter lavorare meglio, ebbero un’idea: inviare gli sciocchi alla ricerca di una pianta buonissima, ma inesistente, chiamata “Succulenza”, che cresceva nel posto esatto dove tramonta gli sole. Così gli uomini sciocchi partirono alla ricerca di questa pianta seguendo il cammino del sole senza neppure accorgersi di essere stati presi in giro! Da quel giorno gli uomini furbi fanno scherzi ai creduloni e agli sciocchi mandandoli in giro a cercare cose che non esistono. Secondo la tradizione il nome “Pesce d’Aprile” si deve al fatto che il 1° aprile il Sole esce dalla costellazione dei Pesci.

Leggenda del tulipano

Tanto tempo fa  in Olanda viveva un giovane contadino che possedeva un terreno enorme. Il ragazzo non aveva mai viaggiato, né era uscito fuori dal suo campo. Dedicava tutto il suo tempo a coltivare il suo campo e a controllare che tutto fosse a posto. Una mattina, mentre passeggiava nei prati,  vide tra i fili d’erba alcuni fiori dai colori vivacissimi: erano i tulipani. Incuriosito si avvicinò e, guardando meglio, si accorse che tra i tulipani svolazzavano delle bellissime fate. Quasi per magia, il contadino si innamorò di una di queste. La fata era bella, buona e gentile ma non ricambiò mai il sentimento del ragazzo, perché non conosceva l’amore. Il desiderio di essere amato dalla fata lo logorò così tanto che morì. La fata capì di essere stata la causa della sua morte, così ricoprì il terreno del ragazzo con migliaia di tulipani variopinti.

 

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