Storie e racconti di Carnevale
Una raccolta di storie, racconti e leggende di Carnevale.
La storia di Arlecchino
C’era una volta un bimbo tanto carino e buono, di nome Arlecchino, al quale tutti volevano un gran bene.
Era il tempo di Carnevale e tutti i bambini pensavano alle loro mascherine. Le mamme cucivano e misuravano le belle stoffe lucide per preparare i costumi più belli ai loro figlioletti. Anche nella classe di Arlecchino tutti i compagni parlavano della loro prossima festa.
-E tu, come ti mascheri?- chiese uno di essi ad Arlecchino.
-Io?… Io non non mi maschererò – rispose il bimbo piegando la testa con tristezza. – I miei genitori sono poveri e non posso spendere. –
Il giorno dopo ogni bambino portò un pezzetto di stoffa per aiutare a fare il vestito al bimbo più povero. Ma i pezzi erano di tanti colori perchè ognuno aveva portato pezzi diversi.
-Non fa niente!- disse Arlecchino. -La mia mamma è così brava che saprà farmi lo stesso un bel vestitino, vedrete! E io sarò contento che sia di tanti colori, perchè ogni colore mi ricorderà un amico.-
Il giorno di martedì grasso, infatti, Arlecchino indossò il suo strano costumino che piacque moltissimo a tutti. Essendo formato di tanti vivaci colori, fu il più allegro e il più ammirato dagli scolari.
La leggenda di Re Carnevale
Secondo la leggenda, Carnevale era un Re, forte e potente, ma soprattutto generoso.
Le porte del suo palazzo erano sempre aperte e chiunque poteva entrare nelle cucine della reggia, fornite di cibi prelibati, e saziarsi a volontà.
Ma i sudditi, invece di rallegrarsi di avere un sovrano così generoso, approfittarono del suo buon cuore e a poco a poco si presero tanta confidenza, da costringere il povero re a non uscire più dal suo palazzo per non essere fatto oggetto di beffe ed insulti.
Egli allora si ritirò in cucina e lì rimase nascosto, mangiando e bevendo in continuazione.
Ma un brutto giorno, era sabato, dopo essersi abbuffato più del solito, cominciò a sentirsi male.
Grasso come un pallone ,il volto paonazzo ed il ventre gonfio, capì che stava per morire; la sua ingordigia lo aveva rovinato.
Tutto sommato era felice per la vita allegra che aveva condotto, ma non voleva andarsene così, solo, abbandonato da tutti, proprio lui, il potente Re Carnevale.
Si ricordò allora di avere una sorella, una donnina fragile, snella e un po’ delicata, di nome Quaresima, che lui, un giorno, aveva cacciato di corte.
La mandò a chiamare e lei, generosa, accorse; gli promise di assisterlo e farlo vivere altri tre giorni, domenica, lunedì e martedì, ma in cambio pretese di essere l’erede del regno.
Re Carnevale accettò e passò gli ultimi tre giorni della sua vita divertendosi il più possibile.
Morì la sera del martedì e sul trono, come precedentemente avevano stabilito, salì Quaresima.
Per risollevare l’economia del regno, lavoro duro e grosse penitenze furono le caratteristiche del suo governo.
In una città del regno di Feltro
– Feltro, c’era una volta un cappello senza testa che passeggiava per le strade. Oltre che senza testa, il cappello era anche senza pancia, senza piedi e senza mani. Insomma, era senza niente. La gente diceva: E’ scappato dalla bottega del cappellaio. E’ un cappello pericoloso, portatelo in prigione. Calma disse il cappello oggi è la festa di Carnevale e, come tutti sanno, a Carnevale ogni scherzo vale. Proprio così. Il cappello aveva scherzato e aveva voluto spaventare la gente. Alla fine della festa, infatti, tornò sulla testa del re. Da allora, nel regno di Feltro – Feltro, nel giorno di Carnevale i cappelli vanno a passeggio da soli.
G. Rodari
La fuga di Pulcinella
Pulcinella era la marionetta piú irrequieta di tutto il vecchio teatrino. Aveva sempre da protestare, o perché all’ora della recita avrebbe preferito andare a spasso, o perché il burattinaio gli assegnava una parte buffa, mentre lui avrebbe preferito una parte drammatica. «Un giorno o l’altro,- egli confidava ad Arlecchino, – taglio la corda». E cosí fece, ma non fu di giorno. Una notte egli riuscí a impadronirsi di un paio di forbici dimenticate dal burattinaio, tagliò uno dopo l’altro i fili che gli legavano la testa, le mani e i piedi, e propose ad Arlecchino: «Vieni con me». Arlecchino non voleva saperne di separarsi da Colombina, ma Pulcinella non aveva intenzione di portarsi dietro anche quella smorfiosa, che in teatro gli aveva giocato centomila tiri. «Andrò da solo» decise. Si gettò coraggiosamente a terra e via, gambe in spalla. «Che bellezza, – pensava correndo, – non sentirsi piú tirare da tutte le parti da quei maledetti fili. Che bellezza mettere il piede proprio nel punto dove si vuole». Il mondo, per una marionetta solitaria, è grande e terribile, e abitato, specialmente di notte, da gatti feroci, pronti a scambiare qualsiasi cosa che fugge per un topo cui dare la caccia. Pulcinella riuscí a convincere i gatti che avevano a che fare con un vero artista, ma ad ogni buon conto si rifugiò in un giardino, si acquattò contro un muricciolo e si addormentò. Allo spuntare del sole si destò e aveva fame. Ma intorno a lui, a perdita d’occhio, non c’erano che garofani, tulipani, zinnie e ortensie. «Pazienza» si disse Pulcinella e colto un garofano cominciò a mordicchiarne i petali con una certa diffidenza. Non era come mangiare una bistecca ai ferri o un filetto di pesce persico: i fiori hanno molto profumo e poco sapore. Ma a Pulcinella quello parve il sapore della libertà, e al secondo boccone era sicuro di non aver mai gustato cibo piú delizioso. Decise di rimanere per sempre in quel giardino, e cosí fece. Dormiva al riparo di una grande magnolia le cui dure foglie non temevano pioggia né grandine e si nutriva di fiori: oggi un garofano, domani una rosa. Pulcinella sognava montagne di spaghetti e pianure di mozzarella, ma non si arrendeva. Era diventato secco secco, ma cosí profumato che qualche volta le api si posavano su di lui per suggere il nettare, e si allontanavano deluse solo dopo aver tentato invano di affondare il pungiglione nella sua testa di legno. Venne l’inverno, il giardino sfiorito aspettava la prima neve e la povera marionetta non aveva piú nulla da mangiare. Non dite che avrebbe potuto riprendere il viaggio: le sue povere gambe di legno non lo avrebbero portato lontano. «Pazienza – si disse Pulcinella- morirò qui. Non è un brutto posto per morire. Inoltre, morirò libero: nessuno potrà piú legare un filo alla mia testa, per farmi dire di sì o di no». La prima neve lo seppellí sotto una morbida coperta bianca. In primavera, proprio in quel punto, crebbe un garofano. Sottoterra, calmo e felice, Pulcinella pensava: «Ecco, sulla mia testa è cresciuto un fiore. C’è qualcuno piú felice di me? » . Ma non era morto, perché le marionette di legno non possono morire. E’ ancora là sotto e nessuno lo sa. Se sarete voi a trovarlo, non attaccategli un filo in testa: ai re e alle regine del teatrino quel filo non dà fastidio, ma lui non lo può proprio soffrire.
G. Rodari
Re Carnevale e Regina Quaresima
C’era una volta, anni ed anni fa, un regno colorato e gioioso, governato da un Re molto buono e generoso, che si chiamava Re Carnevale. Questo Re viveva in una grandissima casa, con giardini tutt’attorno, nei quali crescevano fiori e frutta tutto l’anno. Re Carnevale era un bravissimo cuoco e la sua specialità erano le frittelle di mela, quelle al cioccolato e quelle ripiene di buonissima crema pasticcera. Ogni giorno Re Carnevale si chiudeva nella sua cucina e preparava chili e chili di frittelle, dolci, torte e crostate che amava offrire a tutti i suoi sudditi. Ma i sudditi, invece di essere riconoscenti e felici di avere un Re tanto gentile, che dispensava loro buonissime leccornie ogni giorno, erano dispettosi. Entravano in casa sua con trombette, coperchi di pentole e coriandoli, facevano baccano, mettevano tutto in disordine e lo prendevano in giro. Re Carnevale, stufo di tutti questi scherzi, un giorno fu costretto a sbarrare la porta di casa ed impedire ai sudditi di entrare. Smise anche di offrire dolci e frittelle. Re Carnevale, però, amava troppo cucinare e mangiare dolcetti, quindi iniziò a cucinarli solo per sè ed, a furia di trangugiare, diventò grosso e grasso, troppo, fino a punto che si rese conto che stava rischiando di scoppiare. Così, spaventato e preoccupato, decise di chiedere aiuto a sua sorella, una signora magra ed esile, pallida e molto severa, la Signorina Quaresima. Quaresima acconsentì ad aiutare il fratello, per impedire che la sua pancia esplodesse, ma ad un patto: che Re Carnevale le lasciasse il trono ed il totale comando del regno. Il Re accettò e fu così che Quaresima divenne la Regina Quaresima ed iniziò a governare mettendo regole ferree per tutto il popolo. La Regina vietò gli scherzi troppo rumorosi ed i coriandoli e stabilì che non si potessero più mangiare troppi dolci e che il venerdì fosse servito solo pesce in bianco, magro e buono per la salute. Il regno diventò meno allegro, però iniziò a funzionare in modo più ordinato. Re Carnevale, però, era diventato molto triste. Così, Regina Quaresima, per tirargli su il morale, gli concesse di regnare a modo suo per tre giorni l’anno e, in quei tre giorni, è ancora oggi concesso tutto: stelle filanti, scherzi e tantissime frittelle.
La leggenda di Arlecchino
Tanti anni fa, in una scuola di Bergamo, tutti gli scolari parlavano allegramente di una mascherata.
Solo Arlecchino se ne stava in disparte: la sua mamma era povera e non poteva comprargli un costume. Ma un ragazzo disse ai compagni:
– Portiamogli tutti un pezzo del nostro costume, così la sua mamma potrà fargli un vestito per la mascherata.
Tutti i compagni approvarono con entusiasmo questa proposta e portarono a scuola avanzi di stoffa di ogni colore.
La mamma di Arlecchino cucì insieme con tanta pazienza tutti quei pezzetti di stoffa, e il bambino potè andare alla festa in maschera.
Il suo costume di tanti colori piacque a tutti e, quel giorno, il più ammirato e festeggiato fu proprio il povero Arlecchino.
(T. Stagni)