Dove ci porterà la tecnologia?

La bimba si sporge dal suo passeggino. Mi regala ancora un sorriso complice. Abbiamo innescato una comunicazione che ha sacrificato le parole.
Intanto penso, dove ci porterà la tecnologia?!
Sono a un ristorante. Al tavolo accanto al nostro ci sono due famiglie con due bambini. La bimba avrà quasi tre anni, il maschietto un anno. Mentre i genitori consumano il pasto, i bambini vengono intrattenuti da “amabili babysitter”: lo smartphone e il tablet. Due schermi attraverso i quali vengono proposte immagini con una sequenza vertiginosa: lampi accecanti e suoni, versi, sostenuti dal dito del bambino che scrolla, scrolla. Nessuno gli parla.
Nel vortice fascinoso delle immagini, in uno stato di apparente immobilità, ecco che all’improvviso dirompe un pianto nell’aria. I genitori provano con nuovi filmati. Niente il “gioco” si è rotto. Il bambino prima e la bambina per imitazione, subito dopo, cercano di catturare l’attenzione dei rispettivi genitori. Arrivano uno sguardo distratto e un sorriso succinto. Ritornano alle loro conversazioni. Quando la deflagrazione dei pianti si diffonde nella sala, è un fuggi fuggi. A turno portano via i bambini.
Intanto penso, dove ci porterà la tecnologia?!
Il mondo di un bambino è di una straordinaria complessità emozionale, fatta di linee di luce aggrovigliate, macchie di colore acquerellate e infiniti punti di contatto con il mondo esterno. Oggi i bambini sono immersi nei mondi virtuali dei videogiochi, delle simulazioni, prigionieri di una consolle e bloccati in uno spazio fisico, mentre essi rivendicano grande movimento, libertà d’azione ed esplorazione concreta. In cambio, come un pasto sostitutivo, gli si propone un movimento artificiale, concentrato e limitato a rapidi scatti delle mani e degli arti. E così dalla mescolanza tra ciò che è reale e ciò che è virtuale, da questo ibrido, si genera una condizione frustrante che azzera i livelli emozionali positivi nei bambini, per confluire lungo la strada della rabbia, mentre cresce il senso di impotenza nella gestione delle situazioni reali.
Il linguaggio oggi dei bambini risulta fortemente penalizzato e impoverito, semplicemente perché l’adulto gli parla poco e non ci sono, se non ridotti, gli scambi comunicativi tra coetanei. La difficoltà sempre più crescente nello stabilire delle relazioni tra pari, nei bambini, nasce dalla solitudine linguistica, esperienziale e di gioco, in cui i bambini sono abbandonati da adulti che hanno sempre un conto aperto con il tempo che corre.
Amo la tecnologia e tutte le rivoluzioni benefiche che essa ha recato nelle nostre vite, semplificando le azioni della quotidianità, spazzando tutto ciò che ha il sapore del meccanico e risulta pesante. Strumenti magici che ci regalano più tempo e un riposo migliore. Tutte le innovazioni tecnologiche offrono, però, sull’altare dei sacrifici i vecchi “giocattoli” che ci hanno intrattenuto fino al giorno prima. Diventano cimeli da collezione, cianfrusaglie da cassetto.

Come? Mostrando, raccontando, esplorando e sperimentando. Rivendichiamo un contatto diretto. Non può bastarci un’immersione virtuale. Dobbiamo riscoprire, come educatori, il gioco. È importante favorire momenti di gioco con giocattoli concreti, con strumenti che possano trasformarsi grazie ad un atto fantastico in una operazione creativa. A volte basta davvero poco! Non abbandoniamoli davanti agli schermi. Parliamo con i bambini. Ascoltiamoli. Tutto questo favorirà di certo uno sviluppo più armonico e li aiuteremo a coltivare la bellezza fuori e dentro di loro con la certezza che avremo regalato un kit di sopravvivenza per affrontare le avventure della vita.
Maria Ruggi – (Tutti i diritti riservati)