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Le parole che feriscono: come le frasi “tossiche” minano l’autostima dei bambini

Le parole che feriscono: come le frasi “tossiche” minano l’autostima dei bambini

parole tossicheCari genitori e insegnanti,
vi scrivo per condividere con voi una riflessione, prendendo spunto da un post nel quale mi sono imbattuta che mi ha fatto pensare molto a tutte quelle frasi “tossiche” che spesso, come fiumi di lava, investono i bambini.
Frasi potenti, che scappano a noi adulti, che magari non ci pensiamo più di tanto, ma che lasciano il segno in chi sta crescendo e tentando di capire come funziona il mondo.
⚡”Non ce la farai mai! Devi impegnarti di più”, “ Non fare il bambino! Devi essere forte!”, “Non sei brava come tua sorella!”, “Non sei capace di fare niente di buono!”, “Sei sempre il solito, non cambi mai.”
Queste frasi scavano paurosi crateri nella autostima dei più piccoli. Come scorie tossiche si depositano nell’anima fragile di un figlio, consumando la fiducia originaria nel mondo e in sé stesso.
Sebbene nascano molte volte dalle nostre buone intenzioni, dal desiderio di spronare e rendere più forti i bambini, una volta lanciate mettono radici storte nel cuore e come un albero costretto a crescere col vento contro, finiscono per piegare la persona. Risuonano come quelle fastidiose canzoni che non ci piacciono, ma che continuiamo a sentire nella testa.
Quelle parole pesano sulle loro spalle e hanno un’eco potente: sono le conferme di paure.
“Non sono abbastanza”, “Non so fare nulla”, “Lui è più bravo di me”.
Amplificano le insicurezze, intrappolando i bambini in un confronto costante con l’altro che mina i valori dell’unicità.
“Prendi esempio da …”. Un’operazione un po’ triste, che annulla la specificità di un percorso individuale e che spinge verso una sterile omologazione, cancellando sul nascere ogni scintilla di originalità.
Il risultato? Bambini demotivati e pieni di dubbi sulle loro potenzialità. Bambini che sentono di non essere mai abbastanza, di non essere all’altezza, con il timore di non poter raggiungere gli obiettivi.
Sono tante le aspettative genitoriali e di noi educatori. L’idea del bambino performante, che accumula voti bellissimi come se fosse la cosa più naturale del mondo, la proiezione di un ideale, di un modello predefinito di “bambino bravo, di “alunno modello” serpeggia a oltranza ed è figlia di una società che mitizza la performance a tutti i livelli.
Ma ogni bambino ha un universo da rivelare, ha le sue peculiarità, le sue fragilità, i suoi tempi per maturare e crescere nella consapevolezza del suo valore.
Lo so, è difficile smontare l’ingranaggio in cui ogni essere sembra essere l’anello di una catena seriale. Dovremmo sforzarci di accogliere e scoprire la bellezza di quel caos interiore che ogni essere ha dentro, fertile inquietudine, spesso madre di creatività e delle più grandi invenzioni.
Allora prestiamo attenzione alle parole. Abbandoniamo i giudizi pesanti e avventuriamoci nella “fatica” di ascoltare, di guardare oltre la superficie, di guidare i nostri bambini a interrogarsi, senza il timore di non corrispondere a un’immagine idealizzata e conforme ai canoni imposti o peggio incasellata in un modello predefinito da altri con giudizi inappellabili.
La nostra sfida, come educatori, è coltivare menti pensanti, spiriti liberi e innamorati che combattono per gli ideali, capaci di interrogare il mondo e di porsi criticamente di fronte ad esso con la gioia sempreverde della scoperta.
Con una certa dose di idealismo,
Maria Ruggi
Testo di Maria Ruggi – Riproduzione riservata –

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