Storie e racconti di Natale

Storie e racconti di Natale

storie e leggende di natale

 

Una raccolta di storie, racconti e leggende di Natale per bambini.

La leggenda del vischio

di I. Drago

Il vecchio mercante si girava e rigirava, senza poter prendere sonno.
Gli affari, quel giorno, erano andati benissimo: comprando a dieci, vendendo a venti, moneta su moneta, aveva fatto un bel mucchietto di denari.
Si levò. Li volle contare. Erano monete passate chissà in quante mani, guadagnate chissà con quanta fatica. Ma quelle mani e quella fatica a lui non dicevano niente.
Il mercante non poteva dormire. Uscì di casa e vide gente che andava da tutte le parti verso lo stesso luogo. Preva che tutti si fossero passati la parola per partecipare a una festa.
Qualche mano si tese verso di lui. Qualche voce si levò: – Fratello, – gli gridarono – non vieni?
Fratello, a lui fratello? Ma che erano questi matti? Lui non aveva fratelli. Era un mercante; e per lui non c’erano che clienti: chi comprava e chi vendeva.
Ma dove andavano?
Si mosse un po’ curioso. Si unì a un gruppo di vecchi e di fanciulli.
Fratello! Oh, certo, sarebbe stato anche bello avere tanti fratelli! Ma lui cuore gli sussurrava che non poteva essere loro fratello. Quante volte li aveva ingannati? Comprava a dieci e rivendeva a venti. E rubava sul peso. E piangeva miseria per vender più caro. E speculava sul bisogno dei poveri. E mai la sua mano si apriva per donare.
No, lui non poteva essere fratello a quella povera gente che aveva sempre sfruttata, ingannata, tradita.
Eppure tutti gli camminavano a fianco. Ed era giunto, con loro, davanti alla Grotta di Betlemme. Ora li vedeva entrare e nessuno era a mani vuote; anche i poveri avevano qualcosa. E lui non aveva niente, lui che era ricco.
Entrò nella grotta insieme con gli altri; s’inginocchio insieme agli altri.
– Signore, – esclamò – ho trattato male i miei fratelli. Perdonami.
E proruppe in pianto.
Appoggiato a un albero, davanti alla grotta, il mercante continuò a piangere, e il suo cuore cambiò.
Alla prima luce dell’alba quelle lacrime splendettero come perle, in mezzo a due foglioline.
Era nato il vischio.

La leggenda dell’albero di Natale

C’era una volta un boscaiolo, che era sposato con una giovane donna che amava molto. Siccome la amava molto ci teneva che lei avesse cose buone da mangiare e una casa sempre calda e quindi passava molto tempo nei boschi a tagliare la legna, un po’ per rivenderla e un po’ per scaldare la sua casa, che aveva un bel camino di pietra. La sera di Natale stava tornando a casa tardi come al solito e vide, alzando lo sguardo, un bellissimo abete alto e maestoso. Stava prendendo le misure per vedere se poteva tagliarlo quando si accorse che tra i suoi rami, nella notte che era buia che più buia non si può, riusciva a scorgere le stelle e che la luce di queste sembrava brillare proprio dai rami.
Affascinato da questo spettacolo decise in quel momento due cose: la prima era che avrebbe lasciato il vecchio abete lì dove stava e la seconda che doveva far vedere alla moglie questo bellissimo spettacolo: tagliò allora un abete più piccolo, lo portò davanti alla casa e lì accese delle piccole candele che mise sui rami (senza dar fuoco all’albero accidentalmente). La moglie del boscaiolo, dalla finestra, vide l’albero così illuminato e se ne innamorò al punto da lasciar bruciare l’arrosto. Da quel momento in poi la bella moglie del boscaiolo volle sempre avere un abete illuminato per Natale e i vicini, trovandolo bellissimo a guardarsi, imitarono presto il boscaiolo. Quest’uso poi si estese e l’albero di Natale divenne uno dei simboli del Natale.

La leggenda dell’abete

di G. Benzoni

S’approssimava l’inverno di tanti e tanti anni fa. Un uccellino, che aveva un’ala spezzata, non sapeva dove ripararsi dal freddo e dalla neve. Si guardò intorno per cercare un asilo e vide i begli alberi di una grande foresta. A piccoli passi si portò faticosamente al limitare del bosco. Il primo albero che vide fu una betulla dal manto d’argento.

– Graziosa betulla, vuoi ospitarmi fra le tue fronde fino alla buona stagione?-
– Che curiosa idea! Ne ho abbastanza di custodire le mie foglie!-
L’uccelletto saltellò fino all’albero vicino. Era una quercia dalla fitta chioma.
– Grande quercia, vuoi tenermi al riparo fino a primavera?-
– Che domanda! Se io ti riparassi mi beccheresti tutte le ghiande!-
L’uccellino volò alla meglio fino a un grosso salice che sorgeva sulla riva di un fiume.
– Bel salice, mi dai ricovero fino a che dura il freddo?-
– No davvero! Va’, va’ lontano da me!-
Il povero uccellino non sapeva più a chi rivolgersi, ma continuò a saltellare… Lo vide un abete e gli chiese:
– Dove vai, uccellino?-
– Non lo so. Nessuno mi vuole ospitare e io non posso volare tanto lontano, con questa ala spezzata.-
– Vieni qui da me, poverino. Riparati sul ramo che più ti piace-
– Oh, grazie. E potrò restare qui tutto l’inverno?-
– Certamente, mi terrai compagnia.-
Una notte il vento gelido sferzò le foglie, che caddero a terra mulinando. La betulla, la quercia, il salice, in breve tempo si trovarono nudi e intirizziti. L’abete invece conservò le sue foglie, e le conserva tuttora.
Sapete perchè? Perchè Dio volle premiarlo della sua bontà.

La fiaba di Babbo Natale

Tanti, tanti anni fa, in Lapponia, in una capanna del bosco, circondata da abeti, vicino ad un allegro ruscello d’acqua limpida e fresca viveva Natale, il quale si dedicava ogni giorno a coltivare il suo orticello, a curare le sue renne e ad intagliare il legno, vivendo tranquillamente. Vestiva sempre di rosso, il suo colore preferito. Era un vecchietto assai buono e generoso con una lunga barba bianca ed aiutava spesso senza tirarsi mai indietro tutti i suoi vicini. Un giorno pensò che era troppo poco quello che stava facendo e si mise a pensare: voleva trovare un modo per poter dare agli altri qualcosa di più. Quella sera fece un sogno: Nel sogno gli apparve un angioletto: era molto bello e grazioso e, con una dolce vocina, gli spiegò che nel mondo c’erano tanti bambini ma tanti di questi erano poveri e non potevano permettersi niente, anche loro come tutti gli altri bambini più fortunati desideravano dei giocattoli, ma non avrebbero mai potuto averli, il cuore dell’angelo era colmo di tristezza e un lacrima gli scorreva lungo il viso, Natale che era molto sensibile chiese all’angioletto cosa poteva fare per far spuntare sui visi di tutti i bambini un sorriso e un po’ di felicità nei loro cuori. L’angioletto rispose che, se Natale voleva, poteva aiutarli. Sarebbe dovuto partire caricando sulla sua slitta trainata dalle sue renne un sacco pieno di doni da consegnare a ciascun bambino la notte santa, quando nacque Gesù. “Ma dove posso trovare i giocattoli per tutti i bambini del mondo? E come posso farcela a consegnarli tutti in una sola notte e ad entrare nelle case? Ci saranno tutte le porte chiuse!” si chiese Natale. L’angioletto gli disse che Gesù Bambino l’avrebbe aiutato a risolvere ogni problema. Fu così che Gesù Bambino nominò Natale papà di ogni bambino donandogli il nome di Babbo Natale! I primi giochi che Babbo Natale regalò furono costruiti con le sue stesse mani: intagliò nel legno bambole, macchinine, pupazzi ed ogni sorta di giocattolo. Gesù Bambino assegnò a Babbo Natale degli Elfi che altro non erano che piccoli angeli dalla faccia simpatica che lo aiutavano a costruire i giocattoli, a caricarli sulla slitta e a consegnarli in tempo ogni anno la sera di Natale! Gesù bambino fece anche un piccolo miracolo: concesse alla slitta e alle otto renne il dono di poter volare nel cielo. Babbo Natale entra quindi quella notte in ogni casa calandosi dal camino e riempiendo le calze che ogni bimbo appende sotto al camino, come d’usanza, e posando gli altri pacchetti più grossi sotto agli alberi di pino adornati a festa con luci e addobbi vari: palline, candeline, bastoncini di zucchero, e anche nelle case delle famiglie più povere gli alberi di pino venivano adornati con noci, mandarini, frutta secca, che profumavano l’aria di festa e che poi venivano mangiati in famiglia tutti insieme. Grazie alla magia dell’amore fu così possibile a Babbo Natale di essere sempre puntuale la notte santa nella consegna dei suoi doni per poter far felici tutti i bambini del mondo! E portare un sorriso nei loro visi e nei loro cuori!

Storia sull’albero di Natale

In un remoto villaggio di campagna, la Vigilia di Natale, un ragazzino si recò nel bosco alla ricerca di un ceppo di quercia da bruciare nel camino, come voleva la tradizione, nella notte Santa. Si attardò più del previsto e, sopraggiunta l’oscurità, non seppe ritrovare la strada per tornare a casa. Inoltre incominciò a cadere una fitta nevicata.
Il ragazzo si sentì assalire dall’angoscia e pensò a come, nei mesi precedenti, aveva atteso quel Natale, che forse non avrebbe potuto festeggiare. Nel bosco, ormai spoglio di foglie, vide un albero ancora verdeggiante e si riparò dalla neve sotto di esso: era un abete.
Sopraggiunta una grande stanchezza, il piccolo si addormentò raggo mitolandosi ai piedi del tronco e l’albero, intenerito, abbassò i suoi rami fino a far loro toccare il suolo in modo da formare come una capanna che proteggesse dalla neve e dal freddo il bambino.
La mattina si svegliò, sentì in lontananza le voci degli abitanti del villaggio che si erano messi alla sua ricerca e, uscito dal suo ricovero, poté con grande gioia riabbracciare i suoi compaesani.
Solo allora tutti si accorsero del meraviglioso spettacolo che si presentava davanti ai loro occhi: la neve caduta nella notte, posandosi sui rami frondosi, che la pianta aveva piegato fino a terra, aveva formato dei festoni, delle decorazioni e dei cristalli che, alla luce del sole che stava sorgendo, sembravano luci sfavillanti, di uno splendore incomparabile.
In ricordo di quel fatto, l’abete venne adottato a simbolo del Natale e da allora in tutte le case viene addobbato ed illuminato, quasi per riprodurre lo spettacolo che gli abitanti del piccolo villaggio videro in quel lontano giorno.

A Nazaret

di S. Lagerlöf

Un giorno Gesù, appena di cinque anni, sedeva sulla soglia di casa, a Nazaret, intento a formare degli uccellini da un blocco di argilla che gli aveva regalato il vasaio di fronte.
Sui gradini della casa vicina sedeva un bambino di nome Giuda; tutto graffi e lividure e i vestiti a brandelli per le continue risse con altri ragazzi di strada. In quel momento era tranquillo, non tormentava nessuno, né s’accapigliava con i compagni, ma lavorava anche lui a un blocchetto di argilla.
A mano a mano che i due bimbi facevano i loro uccellini li mettevano in cerchio dinanzi a sé.
Giuda, che di tratto in tratto guardava furtivo il compagno per vedere se facesse più uccelli di lui e più belli, gettò un grido di meraviglia quando vide che Gesù tingeva i suoi uccellini con il raggio di sole colto dalle pozze d’acqua.
Anche lui allora immerse la mano nell’acqua luminosa. Ma il raggio di sole non si lasciò pigliare. Filava via dalle sue mani per quanto egli si affaticasse a muovere lesto le dita tozze per acchiapparlo, e ai suoi uccelli non poté dare neppure un pochino di colore.
– Aspetta, Giuda – esclamò Gesù – vengo io a colorire i tuoi uccellini.
– No, non devi toccarli; stanno bene così! – gridò Giuda; poi, in un impeto d’ira calcò il piede suoi suoi uccelli riducendoli l’uno dopo l’altro in un ammasso di fango.
Quando tutti gli uccelli furono distrutti si avvicinò a Gesù, che stava accarezzando i suoi, sfavillanti come pietre preziose. Giuda li osservò un momento in silenzio, poi alzò il piede e ne pestò uno.
– Giuda, che fai? Non sai che sono vivi e possono cantare?
Ma Giuda rideva e ne calpestò un altro, poi un altro, un altro ancora.
Gesù si guardò attorno cercando un soccorso. Giuda era lato, robusto ed egli non aveva la forza di fermarlo. Guardò la madre; non era lontana, ma prima che fosse venuta Giuda avrebbe distrutto tutti gli uccelli.
Gli si riempirono gli occhi di lacrime. Quattro erano già ridotti in mota; ne rimanevano tre ancora.
Gesù si struggeva che i suoi uccellini stessero quieti e si lasciassero calpestare senza fuggire alla rovina. Allora batté le mani per destarli e gridò: – Volate! Volate!
I tre uccelletti cominciarono a muovere le ali, le batterono timorosi, poi presero il volo fino all’orlo del tetto dove si sentirono in salvo.

Le stelle d’oro

di J. e W. Grimm

Era rimasta sola al mondo. L’avevano messa sopra una strada dicendole: – Raccomandati al cielo, povera bimba!
E lei, la piccola orfana, s’era raccomandata al cielo! Aveva giunte le manine, volto gli occhi su, su in alto, e piangendo aveva esclamato: – Stelle d’oro, aiutatemi voi!
E girava il mondo così, stendendo la manina alla pietà di quelli che erano meno infelici di lei. L’aiutavano tutti, è vero, ma era una povera vita, la sua: una vita randagia, senza affetti e senza conforti.
Un giorno incontrò un povero vecchio cadente; l’orfanella mangiava avidamente un pezzo di pane che una brava donna le aveva appena dato.
– Ho fame – sospirò il vecchio fissando con desiderio infinito il pezzo di pane nelle mani della bimba; – ho tanta fame!
– Eccovi, nonno, il mio pane, mangiate.
– Ma, e tu?
– Ne cercherò dell’altro.
Il vecchio allora la benedisse: – Oh, se le stelle piovessero su te che hai un cuore così generoso!
Un altro giorno la poverina se ne andava dalla città ala campagna vicina. trovò per via una fanciulla che batteva i denti dal freddo; non aveva da ricoprirsi che la pura camicia.
– Hai freddo? – le domandò l’orfanella.
– Sì, – rispose l’altra – ma non ho neppure un vestito.
– Eccoti il mio: io non lo soffro il freddo, e se anche lo sento, mi rende un po’ meno pigra.
– Tu sei una stella caduta da lassù; oh se potessi, vorrei… vorrei che tutte le altre stelle ti cadessero in grembo come pioggia d’oro.
E si divisero. L’orfanella abbandonata continuò la strada che la conduceva in campagna, presso una capanna dove pensava di riposare la notte, e l’altra corse via felice dell’abitino che la riparava così bene.
La notte cadeva adagio adagio e le stelle del firmamento si accendevano una dopo l’altra come punti d’oro luminosi. L’orfanella le guardava e sorrideva al ricordo dell’augurio del vecchio e di quello uguale della bimba cui aveva regalato generosamente il suo vestito. Aveva freddo anche lei, ora; ma si consolava perché la cascina a cui era diretta non era lontana; già ne aveva riconosciuti i contorni.
– Ah sì! – pensava: – se le stelle piovessero oro su di me ne raccoglierei tanto tanto e farei poi tante case grandi grandi per ospitare i bambini abbandonati. Se le stelle di lassù piovessero oro, vorrei consolare tutti quelli che soffrono; sfamerei gli affamati, vestirei i nudi… Mi vestirei – disse guardandosi con un sorriso; – io mi vestirei perché, davvero, ho freddo.
Si sentì nell’aria un canto di voci angeliche, poi il tintinnio armonioso di oro smosso. La bimba guardò in alto: subito cadde in ginocchio e tese la camicina. Le stelle si staccavano dal cielo, e , cambiate in monete d’oro, cadevano a migliaia attorno a quell’angioletto che, sorridendo, le raccoglieva felice:
– Sì, sì! Farò fare, sì, farò fare uno, no… tanti bei palazzi grandi per gli abbandonati e sarò il conforto di tutti quelli che soffrono!
Dal cielo, il soave canto di voci di paradiso ripeteva: – Benedetta! Benedetta!

La stellina curiosa

di M. P. Sorrentino

C’era una volta una stellina molto curiosa. Stava sempre spenzolata dal cielo per guardare tutto quel che accadeva sulla Terra. Invano l’angelo lampionaio, che va la sera in giro per il cielo ad accendere le stelle, le diceva: – Bada, stellina, non spenzolarti così: una volta o l’altra finirai per cadere.
La stellina faceva proprio come fanno certi bambini di mia conoscenza quando la mamma raccomanda loro di non spenzolarsi dalla finestra: fingeva di non udire.
Una brutta sera la stellina si spenzolò più del solito e, patapumfete, perse l’equilibrio e cadde sulla Terra.
Povera stellina, che spavento! Rotola rotola, andò a finire sul ciglio di un monte: era sempre una stellina, ma non c’era più l’angelo lampionaio per accenderla, e perciò non mandava più luce.
Il buon Dio ebbe pietà della stellina spenta e la trasformò in un fiore: fece di lei la stella alpina, che spicca tutta bianca fra il verde, e sembra una stella caduta dal cielo. Ma, lo credereste, anche trasformata in un fiore, la stellina non ha perduto il vizio di essere curiosa: sta sul ciglio del burrone, proprio sul margine estremo, e si spenzola nel vuoto per guardare quel che avviene sotto di lei. Non allungate la mano per coglierla, bambini: la stellina pettegolina cresce in posti troppo pericolosi.

Il pettirosso

Nella stalla dove stavano dormendo Giuseppe, Maria e il piccolo Gesù, il fuoco si stava spegnendo. Presto ci furono soltanto alcune braci e alcuni tizzoni ormai spenti. Maria e Giuseppe sentivano freddo, ma erano così stanchi che si limitavano ad agitarsi inquieti nel sonno.
Nella stalla c’era un altro ospite: un uccellino marrone; era entrato nella stalla quando la fiamma era ancora viva; aveva visto il piccolo Gesù e i suoi genitori, ed era rimasto tanto contento che non si sarebbe allontanato da lì neppure per tutto l’oro del mondo.
Quando anche le ultime braci stavano per spegnersi, pensò al freddo che avrebbe patito il bambino messo a dormire sulla paglia della mangiatoia. Spiccò il volo e si posò su un coccio accanto all’ultima brace.
Cominciò a battere le ali facendo aria sui tizzoni perché riprendessero ad ardere. Il piccolo petto bruno dell’uccellino diventò rosso per il calore che proveniva dal fuoco, ma il pettirosso non abbandonò il suo posto. Scintille roventi volarono via dalla brace e gli bruciarono le piume del petto ma egli continuò a battere le ali finché alla fine tutti i tizzoni arsero in una bella fiammata.
Il piccolo cuore del pettirosso si gonfiò di orgoglio e di felicità quando il bambino Gesù sorrise sentendosi avvolto dal calore.
Da allora il petto del pettirosso è rimasto rosso, come segno della sua devozione al bambino di Betlemme.

L’uccellino di Natale

Quando giunse l’inverno tutti gli uccellini del bosco partirono. Soltanto un piccolo uccellino decise di rimanere nel suo nido dentro un cespuglio di agrifoglio:
voleva a tutti i costi attendere la nascita di Gesù per chiedergli qualcosa. L’inverno fu lungo e molto nevoso. Il povero uccellino era stremato dal freddo e dalla fame.
Finalmente arrivò la Notte di Natale. Quando lo uccellino fu dinnanzi al Bambino appena nato, disse : “Caro Gesù, vorrei che tu dicessi al vento invernale del bosco di non spogliare l’agrifoglio. Così potrei restare nel mio nido I e attendere la nuova primavera”.
Gesù sorrise, poi chiamò un angelo e gli ordinò di esaudire il desiderio di quell’uccellino. Da allora, l’agrifoglio conserva le sue verdi foglie anche d’inverno. E per riconoscerlo dalle altre piante, l’angelo vi pose, delle piccole bacche rosse e lucide.

Rudolph, la renna dal naso rosso

Lassù nel nord, dove le notti sono più scure e più lunghe e la neve è molto più bianca che alla nostra latitudine, là abitano le renne. Ogni anno Babbo Natale si reca in quel luogo per cercare gli animali più forti e più veloci per trasportare nell’aria la sua enorme slitta. Da quelle parti viveva una famiglia con cinque piccoli. Il più giovane rispondeva al nome di Rudolph ed era un piccolo particolarmente vivace e curioso, infilava il suo naso dappertutto.
Ed era un naso veramente particolare. Sempre, quando il suo piccolo cuore di renna batteva un po’ più forte per l’agitazione, diventando così rosso come il sole incandescente poco prima del tramonto. Ugualmente, se era allegro o arrabbiato, il naso di Rudolph si illuminava in tutto il suo splendore.I suoi genitori ed i suoi fratelli si divertivano con il suo naso rosso, ma già all’asilo delle renne era diventato lo zimbello di quei birbanti a quattro zampe. “Questo è Rudolph con il naso rosso” cosi lo chiamavano e ballavano tutto intorno a lui, mentre lo indicavano con i loro piccoli zoccoli.
Nella scuola elementare le piccole renne lo prendevano in giro come potevano. Rudolph cercava con tutti i mezzi di nascondere il suo naso, a volte lo dipingeva con del colore nero, allora andava a giocare a nascondino con gli altri ed era contento che per stavolta non lo avevano scoperto. Ma nello stesso momento in cui si rallegrava del suo successo il suo naso cominciava ad illuminarsi cosi tanto che il colore si sfaldava! Un’altra volta si infilò nel naso un cappuccio nero di gomma, ma riusciva a respirare solo con la bocca e non appena iniziava a parlare sembrava che avesse una molletta attaccata al naso! I suoi compagni si tenevano la pancia dal ridere, ma Rudolph correva a casa e piangeva amaramente. “Non giocherò mai più con questi stupidi” – diceva piangendo e le parole dei suoi genitori e dei suoi fratelli riuscivano a consolarlo solo un poco.
I giorni diventano più corti e come ogni anno si annunciava la visita di Babbo Natale. In tutte le famiglia di renne i ragazzi giovani e forti si facevano belli. Le loro pellicce venivano a lungo strigliate e spazzolate fino a che non rilucevano del colore del rame, le corna venivano pulite con la neve finché non risplendevano alla fioca luce degli inverni del nord. E poi finalmente era arrivato il momento. In un piazzale gigantesco dozzine di renne, impazienti e nervose, raspavano con i loro zoccoli ed emettevano richiami belli ed allo stesso tempo terrificanti per impressionare i concorrenti. Tra di loro c’era anche Rudolph, la cui forza ed il cui vigore era superiore a quello degli altri partecipanti. Puntualmente, al momento stabilito, Babbo Natale atterrò dal vicino paese di Natale, dove era la sua casa, con la sua slitta trainata solo da Donner, il suo fedele caporenna. Una neve leggera era iniziata a cadere e l’ondeggiante mantello rosso era coperto da punti bianchi. Babbo Natale si mise subito al lavoro ed esaminò ogni animale. Sempre borbottava poche parole nella sua lunga barba bianca. A Rudolph sembrò un’eternità. Quando la fila arrivò a lui, il suo naso diventò incandescente per l’agitazione, quasi luminoso come il sole. Babbo Natale arrivò verso di lui, sorrise amichevole e scosse la testa. “Sei grande e robusto. E sei un bellissimo giovanotto – disse – ma purtroppo non posso sceglierti. I bambini si spaventerebbero a vederti”.
La tristezza ed il dolore di Rudolph non avevano limiti. Più veloce che poteva corse attraverso il bosco e scalpitò ruggendo nella neve alta. I rumori e la luce rossa visibile da lontano attirarono una piccola Elfa. Prudentemente gli si avvicinò, gli posò una mano sulla spalla e chiese: ”Cosa ti è successo?”. “Guarda come brilla il mio naso. Nessuno ha bisogno di una renna con il naso rosso” rispose Rudolph. “Conosco bene questa sensazione” – disse la piccola Elfa -“ io vorrei lavorare nel paese di Natale con tutti gli altri Elfi. Ma sempre, quando sono agitata, le mie orecchie iniziano a tremare. E le orecchie tremolanti non piacciono a Babbo Natale”. Rudolph sollevò lo sguardo, con gli zoccoli si asciugò le lacrime dagli occhi e vide una bellissima Elfa, le cui orecchie si muovevano qua e là al ritmo di un battito di ali. “Il mio nome è Herbie” – disse timidamente. E mentre si guardavano negli occhi, l’uno con un naso rosso scintillante, l’altra con le orecchie tremolanti che si muovevano a ritmo, scoppiarono a ridere all’improvviso e risero fintanto che non fece male loro la pancia. In quei giorni fecero amicizia, chiacchierarono fino a notte tornando a casa solo all’alba. Con passi da gigante si avvicinava il tempo del Natale. In quei giorni Herbie e Rudolph si incontravano molte volte nel bosco.
Tutti erano cosi occupati con i preparativi per le feste natalizie, che nessuno faceva caso che il tempo, giorno dopo giorno, andava peggiorando. Due giorni prima di Natale la Fata del Tempo consegnò a Babbo Natale il bollettino meteorologico. Questi, con il viso preoccupato alzò lo sguardo al cileo e sospirò rassegnato: “Quando domani attaccherò le renne, seduto sulla cassetta non riuscirò a vederle. Come potrò trovare la strada per arrivare alle case dei bambini?”. Quella notte non riuscì a dormire. Continuava a lambiccarsi il cervello per trovare una via d’uscita. Infine indosso il mantello, gli stivali ed il cappello, attaccò Donner alla slitta e si incamminò verso la Terra. “Forse troverò là una soluzione” pensò.
Mentre iniziava a volare, nevicava con fitti fiocchi. Così fitti che Babbo Natale riusciva appena a vedere. C’era solo una luce rossa che illuminava così chiaramente come se davanti a lui ci fosse un’enorme quantità di gelato alla fragola. Babbo Natale amava il gelato alla fragola. “Salve” – disse – “che naso bellissimo ed eccezionale che hai! Se proprio quello di cui ho bisogno. Che cosa ne pensi di correre davanti alla mia slitta e di mostrarmi così la strada per raggiungere i bambini?”. Appena Rudolph ascoltò le parole di Babbo Natale, per l’emozione gli cadde per terra l’albero di Natale che stava trasportando. Poi lentamente riprese il controllo di sé stesso. “Naturalmente, lo farò volentieri. Mi fa un enorme piacere.” Ma all’improvviso diventò molto triste. “Ma come faccio a trovare poi la strada per tornare indietro al paese di Natale, se nevica cosi fitto?”: Nello stesso momento in cui pronunciava quelle parole gli venne un’idea. “Torno subito” – disse – mentre già correva ad un veloce galoppo verso la strada del bosco, lasciando indietro uno stupito Babbo Natale. Pochi minuti dopo, tornavano indietro una renna con il naso rosso ed una piccola Elfa con le orecchie tremolanti. “Lei può condurci indietro, Babbo Natale” – disse Rudolph, pieno di orgoglio, indicando Herbie – “lei conosce la strada”. “Questa è una magnifica idea!” – tuonò Babbo Natale – “ Ma adesso devo tornare indietro. A più tardi.”
E così successe che, per Natale, Babbo Natale fosse accompagnato da una renna con il naso rosso e da un’elfa con le orecchie tremolanti. Rudolph il giorno successivo, per le sua bellissima azione, venne festeggiato da tutte le renne entusiaste. Il giorno successivo ballarono e cantarono nella piazza principale dicendo:” Rudolph dal naso rosso sei entrato nella storia!”. E deve essere stato così, che qualcuno ha visto Babbo Natale ed i suoi aiutanti, altrimenti nessuno avrebbe raccontato questa storia.

Storia del piccolo abete

Era autunno e gli alberi del bosco perdevano le foglie. E non erano affatto contenti di rimanere nudi e spogli, coi rami stecchiti. Per questo non badavano al pianto di un uccellino che si trascinava per terra perchè aveva un’ala spezzata. L’uccellino si fermò al piede della quercia e le disse: “Oh quercia grande e potente, fammi rifugiare tra i tuoi rami! Ho un’ala spezzata e il freddo che sta per arrivare può farmi morire”.
“Non ho voglia di essere buona!” rispose la quercia. “Quando perdo le foglie sono di cattivo umore”.
L’uccellino si trascinò allora ai piedi di un castagno: “Oh, signore del bosco” cinguettò “fammi rifugiare in un buco del tuo tronco! Ho un’ala spezzata e non so dove passare l’inverno”.
Il castagno fu scosso da un forte soffio di vento e molte foglie caddero. “Non sono il signore del bosco” disse “Se lo fossi, proibirei al vento di strapparmi le foglie, ma non ho tempo di occuparmi di una creaturina piccola come te!”.
L’uccellino, sospirando, chiese aiuto a un altro albero, poi ad un altro ancora, ma tutti gli risposero di no, perchè perdevano le foglie e si sentivano cattivi. Allora, il povero uccellino si accucciò per terra e, se avesse saputo farlo, avrebbe pianto.
“Dove vai, povero uccellino dall’ala spezzata?” chiese un piccolo abete che ancora aveva tutti i suoi aghi verdi.
“Non vado in nessun posto” rispose l’uccellino, “nessun albero ha voluto darmi rifugio per quest’inverno”.
“Te lo darò io” disse il piccolo abete. “Quando avrò perdute le foglie, stringerò più forte i rami per ripararti. Speriamo di farcela”.
In quel momento apparve un grande angelo bianco. Disse: “Il Signore ti ha benedetto, piccolo albero. Tu non perderai la tua veste verde nemmeno in inverno. Dio premia tutti gli atti di bontà”.
Venne l’inverno, e il bosco era silenzioso e ammantato di neve. Gli alberi erano immobili e stecchiti come se fossero morti. Ma il piccolo abete non aveva perduto le foglie. Era rimasto col suo vestito verde ed era il solo in tutto il bosco.
Un giorno passò il vecchio Dicembre. Cercava un albero per appendervi i doni che ogni anno portava alle famiglie. Ma quegli alberi così spogli gli mettevano la la tristezza nel cuore.
“Non posso attaccare i lumini e i doni a un albero dai rami stecchiti” diceva, e sospirava. Stava per andarsene, quando vide un alberello tutto verde. Era il piccolo abete che aveva dato rifugio all’uccellino.
“Oh” esclamò gioiosamente il vecchio Dicembre “Ho trovato finalmente l’albero che ci vuole!”
Da allora l’abete, che resta sempre verde, anche d’inverno, fu scelto per appendervi i lumini e i doni ed è accolto con gioia da tutte le famiglie.

I folletti e il calzolaio

C’era una volta un calzolaio che nella bottega aveva il cuoio per un solo paio di scarpe.
Una mattina entrò nel suo negozio e vide sul deschetto un paio di scarpe già belle e cucite.
Rimase stupito dal fatto, poi però le prese e le pose in vetrina.
Poco dopo entrò un signore e le comperò.
Con quel denaro il calzolaio comprò il cuoio per altre due paia di scarpe.
La mattina trovò nuovamente sul deschetto due paia di scarpe ben rifinite.
E non mancarono i compratori, così che il calzolaio poté comperare altro cuoio.
La mattina dopo trovò tutte le scarpe bell’e cucite.
E così andò avanti: il cuoio che preparava la sera, la mattina lo trovava in numero di scarpe sempre maggiore.
Il Natale era vicino e il calzolaio disse alla moglie:
Invece di andare a letto, non potremmo aspettare per vedere chi è che ogni notte viene ad aiutarci? La moglie rispose subito di sì e si nascosero in un angolo.
Ed ecco a mezzanotte in punto comparvero due ometti piccolini, belli e ben fatti, vestiti della sola camicia, i quali sedettero uno di qua e uno di là davanti al deschetto del calzolaio e, con le esperte manine cominciarono a unire, a forare, a battere, a cucire.
Prima dell’alba filarono via senza che si potesse vedere di dove passavano per uscire.
La mattina, la moglie disse al calzolaio:
Non ti pare che dovremmo dimostrare la nostra gratitudine a quei due ometti?
M’è venuta l’idea che con la sola camicia addosso forse hanno freddo: non sarebbe bene che io cucissi per loro camicine,. mutandine, giacchettine, berrettini e calzettini?
Il marito rispose subito:
Magnifica idea!
La moglie si mise al lavoro e quando tutto fu pronto disposero i doni sul banco e si, nascosero per vedere che cosa avrebbero fatto i due folletti. A mezzanotte, quando questi entrarono, e videro quei graziosi indumenti, scoppiarono in una gioia indescrivibile.
In un momento indossarono tutto, si guardarono allo specchio, poi si misero a: passeggiare dicendo: – Come siamo belli! Come ci stanno bene questi vestiti!
Si misero a ballare e a saltare sulle sedie e sui panchetti, finché così ballando e saltando uscirono come sempre senza che si potesse vedere come.
Da quella sera non tornarono più.
Ma il calzolaio era ormai ricco e poteva vivere contento e felice.

La stella di Natale

di Kathryn Jackson, Richard Scarry

Quest’anno – disse il signor Beltempo un mattino –
dobbiamo pensare in tempo all’albero di Natale e
prepararne uno enorme e bellissimo.
– Bene – fu d’accordo la signora Beltempo – ce ne procureremo uno che arrivi
fino al soffitto.
I cinque bambini Beltempo pensarono che era un’idea meravigliosa. La sera,
il signor Beltempo arrivò a casa carico di pacchetti che contenevano splendidi
nuovi ornamenti per l’albero: grandi palline colorate e lucenti, frutta fatta di
vetro soffiato, campanelli che tintinnavano, uccellini dai colori dell’arcobaleno;
la cosa più bella era un grande angelo dorato e lucente.
– Questo andrà sulla cima dell’albero – disse il signor Beltempo. – Abbiamo
usato troppo a lungo la vecchia stella, è ora di sostituirla.
A queste parole, il viso della signora Beltempo si rabbuiò. Anche i bambini
assunsero un’aria scontenta.
– Quella stella era già sulla punta dell’albero quando io ero bambina – disse la
signora.
– Quando pensiamo al Natale noi pensiamo a quella stella! – dissero Maria e
Marco, i due bambini più grandi. Anche Michele e Miriam, i due bambini di
mezzo, volevano la stella. E Marta, la bambina piccola, disse:
– Niente stella? Ma io voglio la stella!
Allora il babbo ebbe un’idea: prese l’angelo e lo pose sulla cappa del camino.
– Ecco il posto adatto per l’angelo – disse. -Sta bene qui, vero? Dopotutto, il
nostro albero non deve essere grande e nuovo al punto che non sembri più
neppure il nostro albero.
Allora tutti i Beltempo trassero un sospiro di sollievo e andarono a cena con
gli occhi scintillanti di gioia, così scintillanti che pareva che un pezzetto di
stella fosse entrato in essi.

La Notte Santa 

Era la Notte Santa. Un povero calzolaio lavorava ancora nella sua unica stanza,dove viveva insieme alla moglie.
Entro la mattina successiva avrebbe dovuto consegnare un paio di scarpe per il figlio di un ricco signore.
– Hai già pensato a quello che potremmo comprarci con il guadagno di questo lavoro? – chiese il calzolaio alla moglie.
– Sono piccole ci daranno ben poco! – scherzò lei
– Accontentiamoci,meglio questo che niente! –
Il calzolaio appoggiò le scarpe sul banco e se le guardò soddisfatto. – Guarda che meraviglia! -esclamò – e senti come sono calde con questa pelliccia dentro!
– Un paio di scarpette degne di Gesù Bambino – disse la moglie
– Hai ragione! – rispose il calzolaio mettendosi a spazzolarle.- Allora che cosa pensi di comprare per il pranzo di domani? – riprese l’uomo dopo un attimo.
– Ma pensavo a un cappone –
– Già senza un cappone non sarebbe un vero Natale. –
– Forse anche mezzo –
– D’accordo e poi? –
– Due fette di prosciutto –
– Sicuro: il prosciutto come antipasto! E poi? –
– E poi il dolce –
– E poi la frutta secca –
– Giusto e da bere? –
– Una bottiglia di spumante –
– Si una bottiglia basterà ma che sia buono.-
A quel punto si sentì un colpo alla porta.
– Hanno bussato – chiese l’uomo
– Ma chi sarà a quest’ora? Forse il cliente –
– No gliele devo portare io domattina –
– Allora sarà il vento –
Ma il rumore si sentì di nuovo. La donna aprì la porta ed ebbe un moto di sorpresa, un bambino la guardava con grandi occhi neri, dalla soglia della porta. I suoi capelli erano tutti spettinati e i vestiti erano laceri e sporchi – Entra piccolo – lo invitò la donna.
Il bambino entrò, aveva le labbra bluastre dal freddo, il calzolaio guardò subito i suoi piedini – Ma tu sei scalzo – gridò.
Il piccolo non parlò guardò le scarpe anzi le accarezzò con gli occhi ma senza invidia.
L’uomo e la moglie guardarono prima i piedini nudi del bambino e poi le scarpe sul tavolo, quindi la donna fece un cenno al marito e il calzolaio prese in mano le scarpe le osservò contento e disse – Prendile te le regalo sono morbide e calde- La moglie aiutò il bambino a infilarsele.
– Grazie – rispose sorridendo – Sono le prime che porto. Ora però devo andare,buonanotte –
Il calzolaio e la moglie non ebbero neanche il tempo di salutarlo che il bambino era già sparito.
– E’fatta – esclamò l’uomo – Ora niente più prosciutto, nè cappone, nè frutta, nè dolce e neanche lo spumante, in fondo a me lo spumante non piace nemmeno –
– E io non digerisco il cappone, anche del prosciutto posso farne a meno e il dolce poi ci è rimasta qualche noce e un po’ di pane raffermo – disse la donna
– Va benissimo passeremo un bel Natale –
Tutti e due pensavano al bambino
– Penso che gli siano piaciute molto le mie scarpe – aggiunse il calzolaio
– Si mi sembrava molto contento –
In quel momento suonò la Messa di mezzanotte e la stanza si illuminò all’improvviso, il calzolaio e la moglie furono abbagliati da quella luce; poi, quando riaprirono gli occhi nel punto in cui il bambino aveva calzato le scarpe videro spuntar miracolosamente un abete con una stella in cima. Dai rami penzolavano capponi, prosciutti, dolci, frutta secca e bottiglie di spumante.
Soltanto allora capirono chi fosse quel bambino e si inginocchiarono a ringraziare Dio.

Il racconto della stella di Natale

Di tutte le stelle che brillavano nel cielo, quella era senz’altro la più bella di tutte. Ogni pianeta e astro del cielo, la guardava con ammirazione, e si chiedeva quale sarebbe stata l’importante missione che doveva compiere. E la stessa cosa si domandava la scintillante stella, consapevole della sua incomparabile bellezza.
I suoi dubbi svanirono quando alcuni Angeli andarono a trovarla:
– Vai! Il tuo tempo è giunto, il Signore ti chiama per affidarti un importante compito.
Ed ella corse più rapidamente che poté per conoscere il luogo in cui sarebbe accaduto l’evento più importante della storia. La stella si riempì di orgoglio, si vestì con i suoi migliori fulgori e si dispose dietro gli Angeli che gli avrebbero indicato la strada.
Brillava con una tale forza e bellezza che la potettero osservare in ogni luogo della terra e anche un gruppetto di Re decise di seguirla, sapendo che stava indicando qualcosa di universalmente importante.
Per giorni la stella seguì gli Angeli, che gli mostravano il percorso, desiderosa di scoprire quale fosse il posto che avrebbe dovuto illuminare.
Ma quando gli Angeli si fermarono e con grande gioia dissero “Ci siamo, è qui il posto” la stella non riuscì a crederci.
Non c’erano palazzi, castelli o dimore, non brillavano ne ori ne gioielli. Solo una piccola casupola abbandonata, sporca e maleodorante.
– Oh, no! Ma cosa succede! Non posso sprecare il mio splendore e la mia bellezza in un luogo simile! Sono nata per illuminare qualcosa di più grande e maestoso!, disse la stella.
Nonostante gli Angeli tentassero, con ogni mezzo, di calmarla, la furia della stella crebbe a dismisura e si riempì di così tanto orgoglio che cominciò a bruciare, fino a consumarsi del tutto, e a scomparire nel nulla.
Che problema! Mancavano solo un paio di giorni al grande momento, e gli Angeli erano rimasti senza la luce più splendente. In preda al panico, raggiunsero Dio per raccontargli ciò che era accaduto.
Egli, dopo aver pensato per un attimo, disse:
– Cercate e trovate la più piccola, umile e gioiosa stella tra le stelle.
Sorpresi dal mandato, ma senza indugio alcuno, perché il Signore era solito chiedere certe cose, gli Angeli volarono per i cieli alla ricerca della più minuta e felice stella fra le stelle.
Ne trovarono una piccolissima, così minuscola che pareva un granello di sabbia.
Di essa non ne avevano mai sentito parlare, però capirono che non dava alcuna importanza alla sua luminosità e trascorse tutto il tempo, mentre la osservavano, a ridere e chiacchierare con gli astri amici, molto più grandi di lei.
Quando fu presentata a Dio, egli disse:
– La stella più perfetta della creazione, la più bella e brillante, ha fallito a causa del suo infinito orgoglio. Ho pensato, allora, che tu, la più umile e gioiosa di tutte le stelle, avresti di diritto preso il suo posto e dato luce all’evento più importante di tutta la storia: la nascita del Bambino Gesù a Betlemme.
Di tanta emozione si riempì la stellina a quelle parole e provò moltissima gioia quando giunse a Betlemme, però, si rese conto che la sua lucentezza era poco più di quella di una lucciola, nonostante avesse provato a brillare molto di più.
“Chiaro”, si disse fra se e se “Quando mai avrei pensato di ricevere un simile incarico, dal momento che sono l’astro più piccolo del cielo … ! E’ assolutamente impossibile per me comportarmi come una grande stella splendente … Che peccato! Ho perso l’occasione di essere invidiata da tutti gli astri del cielo … “.
Poi pensò ancora una volta “a tutte le stelle del cielo.”
“Certo che sarebbero rimaste incantate da una simile cosa!”
E senza esitazione, pattugliando i cieli lanciò un messaggio a tutti i suoi amici:
“Il 25 dicembre, a mezzanotte, voglio condividere con voi la più grande gioia che mai più potrà avere una stella, di qualsiasi dimensione … : illuminare la nascita di Gesù Bambino, figlio di Dio!! Vi attendo tutti nel paesello di Betlemme, vicino a una piccola casupola, anzi meglio chiamarla stalla. A presto!”
E in effetti, nessuna delle stelle respinse il suo generoso invito.
Così, tante e tante stelle si unirono fino a formare la Stella di Natale più bella e luminosa che mai fu vista prima, nonostante la minuscola stellina non fosse per niente distinguibile tra tanta lucentezza.
E incantato dall’ottimo compito svolto, Dio premiò la stellina per la sua umiltà e generosità, trasformandola in una preziosa stella cadente, con il potere di realizzare i desideri di chi, ogni volta, l’avesse vista brillare nel suo percorso luminoso.

Il regalo di Babbo Natale

Babbo Natale partì dal Polo Nord il giorno della vigilia. I folletti quel dì ebbero un gran da fare per finire di preparare i giocattoli e incartarli in bei pacchettini, così da riempire la slitta.
Finalmente partì. Il viaggio fu abbastanza movimentato e pieno di soste. In una di queste incontrò un ragazzo povero, ma entusiasta del Natale che lo aspettava con ansia. A Babbo Natale, quando vide la gioia negli occhi di quel bambino, gli si riempi il cuore di felicità; gli piaceva consegnare i doni soprattutto se come ricompensa riceveva allegria dai bambini.
Finalmente, il Buon Vecchio dalla barba bianca, arrivò alle porte della città a bordo della sua tintinnante e scintillante slitta. Babbo Natale non vedeva l’ora di consegnare tutti quei regali ai bambini e di godersi la gioia dei loro visetti al momento di scartarli. Incitò le sue renne e a gran velocità entrò allegramente sotto l’arco della porta principale.
Era notte fonda. Cominciò a vedere qualcosa di strano, non riusciva a distinguere in giro neanche un segno del Natale: non c’erano alberi addobbati, nessuna stella cometa fatta di lampadine, le vetrine erano tutte buie. Quando poi la sua slitta passò sotto le finestre della scuola elementare il suo sbalordimento fu davvero grande; non c’era niente alle finestre, neanche un piccolo disegno.
Babbo Natale fu preso dallo sconforto e cominciò a pensare che si fossero dimenticati di lui, ma subito si riprese e bussò ad una porta per chiedere spiegazioni.
Venne ad aprire un vecchio malandato che lo guardò con occhi assenti e spiegò a Babbo Natale che anche quel giorno avevano subito dei bombardamenti, perché quella città era in guerra e quindi la gente avendo paura di morire si rinchiudeva nei cunicoli più protetti e profondi. Per questo i bambini non andavano a scuola e si erano nascosti, e tutte le luci della città erano spente per non farsi vedere dal nemico.
A queste parole Babbo Natale si rattristò moltissimo e allo stesso tempo pensò che doveva regalare un po’ di felicità.
Tirò fuori dal sacco un enorme mantello nero e lo distese sopra la città, coprendola tutta, per nasconderla al nemico. Suonò la campana e raccolse ogni abitante in piazza dove addobbò il più grosso albero di Natale, illuminò la città per intero con mille luci e distribuì tanti doni, a piccoli e grandi.
E, come per incanto, anche gli occhi delle persone tornarono a brillare!

 

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